Condivido con gioia con i lettori del blog e del canale telegram (t.me/briciole) l'introduzione del nuovo libro Il nascondiglio della gioia. Parabole sul mestiere di vivere, Tau Editrice 2018.



Scrivi un libro per me?

«Papà, quando scriverai un libro per me?». Queste parole di mio figlio Nathan mi lasciarono di stucco. Era appena nato un altro mio libro e gli stavo spiegando che, essendo un libro sulla coppia, l’avevo dedicato alla mamma, Camilla, la nostra principessa.
La richiesta mi colse di sorpresa, soprattutto perché si poneva come se fosse una certezza che il libro lo avrei scritto.
Non ero pronto a rispondere, ma la fiducia di mio figlio ha affilato la mia prontezza. Dopo circa un anno, senza saperlo e con creativa spontaneità, nacque in me l’idea di questo libro, proprio come nella parabola del seminatore: «Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa» (cf. Mc 4,26-27).
Parabole? Quindi è un libro per bambini?
Non esattamente, anche se le parabole che trovi in queste pagine le ho sperimentate insieme ai miei figli nelle nostre conversazioni serali e hanno suscitato riflessioni profonde e domande da capogiro come quelle che solo i bimbi sanno fare e far fare.
Le parabole qui presenti possono essere raccontate e mediate da un adulto a bimbi a partire dai dieci anni di età. I testi successivi, invece, sono decisamente per persone più grandi. Possono essere lette da giovani in ricerca, come possono fungere da stimolo per gli educatori che vorrebbero accompagnare i giovani con una riflessione a partire dalle parabole proposte. Io le ho pensate come spunto di riflessione per un cammino di formazione personale e di gruppo.
Anche i testi non parabolici sono stati “testati”. Riporto, ad esempio, il feedback prezioso di un’amica carmelitana, suora di clausura, a cui ho regalato un assaggio in anteprima dal capitolo iniziale e la quale mi scrisse in risposta: «Mi hai dato la gioia di un regalo inatteso: davvero grazie! Sono onoratissima di aver potuto leggere la bozza del primo capitolo del tuo libro. Mi ha fatto un gran bene e all’orazione della sera mi sono identificata al pesciolino del racconto, perché anche dopo 25 anni di monastero si può avere il miraggio di un oceano altro dall’Oceano che è in noi. E spuntano le tue "origini" carmelitane...questo racconto andrebbe tanto d’accordo con il pensiero delle due Terese carmelitane».


Se non è un libro per bambini, per chi è questo libro allora?
Pensando all’atmosfera di questo testo, l’analogia che mi ha insistentemente visitato è stata quella di mia nonna che era specializzata nel farci maglie che potevano andarci bene da otto a ottant’anni. Così anche questo testo racconta delle storie e delle parabole che possono far riflettere i giovani, ma che possono anche essere di stimolo per chi è più grande.
D’altronde, è questo il pregio del genere parabolico, tanto amato da Gesù, e da lui usato con insuperabile maestria, per parlare a persone di tutte le età e di tutte le epoche.
Come accennavo poc’anzi, ho personalmente raccontato le parabole contenute in queste pagine ai miei figli. I due grandi di 6 e 8 anni hanno partecipato attivamente. Il mio desiderio è che fra qualche anno possano prendere il testo da soli, leggerlo e riflettere, non solo sulle parabole, ma anche sugli altri contenuti che sono decisamente per persone un po’ più grandi.

Crescere con le parabole

Le parabole fanno riflettere, ci fanno crescere. Ma la cosa più bella delle parabole è che crescono con noi. In questo senso, vi faccio una confidenza. Questo libro è per me una rilettura grata e semplificata di alcuni punti fermi della mia vita spirituale. Punti fermi acquisiti nel tempo, più sovente e più efficacemente con le immagini e con le parabole che con i concetti aridi e astratti.
A essere più preciso, quasi tutte le storie narrate in questo libro sono storie che a mia volta ho sentito durante incontri, omelie, ritiri, soprattutto nel periodo cruciale del mio primo incontro cosciente con Gesù tra i 15 e 19 anni.
Riprendendole, dopo oltre vent’anni, le ho pescate dalla memoria e le ho arricchite con dialoghi, contenuti e finali che reputavo più consoni alla mia attuale sensibilità e al messaggio che desidero trasmettere.
Solo una delle storie – quella di Tarcisio e il crocifisso – è totalmente mia. L’ho scritta per rispondere a una bambina di nove anni che mi pose questa domanda: «Perché Gesù è morto sulla croce per salvarci? Non poteva salvarci senza morire?». [Condividerò questa storia venerdì in occasione del venerdì santo].
Due delle storie narrate qui le ho scoperte da adulto: la storia dei gemellini e la storia del fuggiasco.
Le parabole sono state per me delle ostetriche che hanno aiutato la nascita della mia fede all’età di 15 anni. Spero che queste storie siano un nutrimento anche per la tua fede e che dietro ogni storia tu possa intravedere la storia più bella: la tua storia con Gesù.

Come raccontare e incontrare le parabole

Le parabole possono divertire, io spero che queste parabole ti aiutino a convertirti.
Le storie possono intrattenere, io spero che possano sprigionare il tuo canto migliore.
I racconti sono un buon passatempo, io spero che possano aiutarti a cogliere la preziosità del tempo della tua vita.
Ti auguro di leggere queste parabole come processo di guarigione interiore e come risanamento di alcune dinamiche concrete della tua vita quotidiana. Un po’ come la storia di quel rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem. Un giorno gli fu chiesto di raccontare una storia ed egli disse: «Una storia va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto». E raccontò così la storia di suo nonno: «Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora riferì come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie».
Prego affinché queste parabole e le riflessioni che seguono non ti riempiano di concetti, ma che ti “in-segnino” (ti segnino dentro) e diventino segnaletica della strada divina che hai nel cuore, quella strada tracciata dal Signore nella tua interiorità. Prego affinché queste parabole siano una mappa per il tuo pellegrinaggio verso il Suo volto.
Forse sei stato abituato a un catechismo di interrogazioni. Permetti a queste parabole e a queste riflessioni di accompagnarti in un viaggio verso interrogativi. Non i miei o di chiunque altro, ma verso i tuoi.
Ti invito a una scalata, non per fuggire da te stesso, ma per trovarti, perché la tua anima è alta, è sublime e più ti elevi più ti trovi.
Cristo, la risposta di Dio, ci viene incontro a forma di domanda. Ci interroga per renderci più autentici. Ci interroga per farci maturare verso la storia che sogna con noi.
L’uomo matura leggendo la propria storia. Per rimanere giovani bisogna rileggere e rieleggere la propria storia. Che queste storie siano un aiuto per la rilettura che vorrai fare della tua storia.

La bambina e la bambola

Affinché la prefazione di un libro basato sulle storie non si senta fuori posto, ti racconto la prima. Questa semplice storiella è la prima che ricordo del tempo del mio avvicinamento alla fede. È la prima che ha strappato dolci lacrime di gioia e di amore per Gesù.
Mi ricordo ancora, come se fosse oggi, quella messa all’aperto tra le imponenti montagne verdi del Libano. Avevo quindici anni. Ero digiuno di fede e di formazione religiosa. La mia famiglia non era praticante e la scuola dove andavo era totalmente laica senza l’ora di religione. Nondimeno, mi ricordo come con semplicità questa storia mi fece sentire, anzi presentire, che il mio bene è presso Dio. Che il mio vero bene è il Signore. Sono stato sorpreso dalla gioia… ma non parliamo di me. Parliamo di Sofia.



Morì Sofia. Morì la piccola bambina di appena 7 anni. Morì pochi giorni dopo aver ricevuto la bambolina che sognava di avere da tanto tempo.
Scesero gli angeli del Signore per portare in cielo questa piccola e pura creatura.
«No sofia! Assolutamente no! La bambola la devi lasciare qui. Questo è il protocollo», così la apostrofò con tono fermo Giustino, uno dei due angeli incaricati per accompagnarla in Paradiso.
Con le braccia conserte attorno alla bambola, Sofia rispose guardando l’angelo di traverso: «Quanto sei scorbutico! Protocollo? Non so cosa voglia dire… ma non se ne parla proprio! Me l’hanno appena regalata. Ti pare che la posso lasciare qui? O la bambola viene con me o di qua non mi muovo. È chiaro?».
Ireneo, l’altro angelo, più pacifico di indole, tentò di sedare gli animi. Cercando di essere il più invisibile possibile, sussurrò all’orecchio di Giustino: «Lasciamola fare. Tanto all’ingresso del Paradiso san Pietro sarà irremovibile e se ne occuperà lui».
L’idea parve geniale a Giustino e così i tre, anzi i quattro (bambola inclusa), partirono verso la volta del Paradiso.
Arrivati alla dogana divina, Pietro – come già previsto da Ireneo – non volle sentire ragioni. Cocciuto come pochi, si impuntò per spingere Sofia ad abbandonare la bambola nella cesta degli oggetti non permessi.
«Guarda piccoletta – disse Pietro alla bimba, sicuro che le sue parole avrebbero avuto un effetto immediato – ero sposato e con i bimbi ci so fare. Ho detto no ed è no. Prima te ne convinci meglio è».
Poi le indicò la cesta degli oggetti non permessi e soggiunse: «Vedi tutta questa roba? Non sai quante lacrime ho visto… ma nessuno è riuscito a farmi cambiare idea», concluse fiero di sé.
Sofia, forse più cocciuta di Pietro, incrociò le braccia tenendo stretta la bambola, guardò in cagnesco il principe degli apostoli e, battendo ritmicamente il piede destro per terra come se fosse un tamburo di guerra, gli disse: «O insieme a lei o non entro». Poi girò la testa dall’altra parte, elevando leggermente il mento per rafforzare la sua posizione.
La disputa durò per un po’ e si radunarono attorno a loro non pochi santi. Diversi, specie i più giovani, cercarono di convincere la bambina ad assecondare Pietro, promettendole che non se ne sarebbe pentita. Le dicevano, poi: «È inutile resistere, Pietro è di coccio. Vince sempre lui».
Più insistevano, però, più la bambina alzava la voce e ripeteva: «No, no, no».
Sentendo questo chiasso, Maria, la mamma di Gesù, si avvicinò e chiese a un santo: «Che succede qua?».
Il santo raccontò alla Madonna l’accaduto insolito.
Maria ringraziò il gentile informatore e si fece spazio tra la folla. Giungendo dalla bambina, fece l’occhiolino a Pietro il quale d’istinto si sarebbe inalberato, ma davanti alla mamma del Signore non poteva che sgonfiare il suo petto, alzare un po’ le spalle, rivolgere per un istante le mani verso l’alto e, infine, accennare un sorriso forzato di consenso.
Maria si avvicinò a Sofia, si chinò verso di lei, la prese per mano e, camminando con lei lontano dalla folla, le disse: «Vieni tesoro. Tieni pure la bambola. Vieni. Ti voglio presentare un amico».
Mentre camminavano, Maria spiegò a Sofia che questo primo incontro con l’amico Gesù, sarebbe bene che avvenga senza la presenza di terzi.
Arrivate all’angolo di una strada, Maria disse a Sofia: «Adesso farai tre passi poi guarderai a destra. Lì vedrai Gesù. Ti sta aspettando».
Sofia fece tre passi, si girò a destra, sì fermò per un istante. La mano lasciò istintivamente la presa, la bambola cadde per terra e Sofia volò verso Gesù.

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