La morte: compagna della vita
«Il più temibile dei mali, la morte, è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, ma quando c’è la morte non ci siamo più noi». Per quanto possa sembrare logico quello che dice Epicuro, la sua espressione non rispetta la logica della vita umana.
A distanza di 2500 anni, la sua espressione mostra la sua lacunosità. La morte – per Heidegger – esprime la struttura fondamentale dell’esistenza umana. La vita è impastata con la morte. Essa è una costante antropologica e non solo un epilogo. «Quest’esperienza – scrive Johanna Rahner –, e soprattutto questa certezza che la propria vita va incontro inarrestabilmente al non(più)-essere, impronta – in modo consapevole o inconsapevole – tutti gli atti della vita umana».
La morte ferisce l’orgoglio della civilizzazione e dello sviluppo tecnologico e scientifico ed espone l’uomo allo «shock della finitezza» che è permanentemente presente nella nostra vita e non solo al momento del passaggio.

L’interesse escatologico

In breve, la morte non è legata soltanto al morire, ma anche al vivere. E un trattato come quello di Johanna Rahner, tradotto da Queriniana per la Collana «Biblioteca di teologia contemporanea» con il titolo Introduzioneall’escatologia cristiana mostra, con sensibilità e abbondanti riferimenti bibliografici di varia derivazione, quanto il tema escatologico sia pertinente per ogni persona.
Il saggio, che si divide in due grandi parti, presenta nella prima parte le questioni fondamentali dell’escatologia mostrando la crescente pregnanza del trattato escatologico sulla base dell’esistenzialità delle domande che si pone: la morte, l’aspirazione all’eterno, il desiderio di salvezza, ecc.

Apocalypse now

Ed è proprio in questa radicalizzazione esistenziale che si manifesta la maturazione recente del trattato escatologico. In passato, la risposta data dalla dottrina escatologica era «riferita all’aldilà che aveva poco a che fare con la storia com’è vissuta qui e adesso; anzi, questo mondo era ridotto a un luogo di prova per l’aldilà. Una simile prospettiva è segnata da un profondo dualismo aldiquà-aldilà, che esclude un’interiore finalità dell’aldiquà, anzi elimina tutto ciò che in qualche modo ha a che fare con una speranza interna alla storia. La speranza cristiana diviene sempre più priva di mondo e di concretezza».

Al contrario, oggi si nota un positivo cambio di prospettiva. L’escatologia è la fine, nel senso di compimento. Scrive Johanna Rahner: «Non abbiamo dunque a che fare con delle prognosi di futuro o addirittura con arti divinatorie, ma si tratta di qualcosa di diverso, si tratta dell’origine del mondo, del venire all’esistenza dell’uomo e dell’inizio della storia. L’escatologia guarda al tutto e al suo senso e questa questione del senso è ciò che struttura lo sguardo sul tutto. La prospettiva del futuro, cioè della speranza, era già per Kant la più importante, perché deve dare un fondamento adeguato alla mia speranza».


Non poteva essere più chiaro Karl Rahner quando chiariva la fondamentale dimensione antropologica degli asserti escatologici quando scriveva: «La conoscenza del futuro è conoscenza della futurità del presente, la conoscenza escatologica è la conoscenza del presente escatologico. L’asserzione escatologica non è un’asserzione additiva, complementare, che venga aggiunta all’asserzione circa il presente e il passato dell’uomo , ma è un fatto intrinseco dell’autocomprensione dell’uomo».

È alla luce di questi accorgimenti che la seconda parte del libro guarda i temi classici dell’escatologia: morte, giudizio, purgatorio, inferno e paradiso.

Robert Cheaib
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