Il libro che vi presento oggi è un libro di teologia che mi ha fatto tanto bene, al pensiero e, quindi, al vissuto. Non vorrei ingannare il lettore che cerca letture semplici. È un libro di teologia, dicevo, e quindi è scritto per chi non è allergico alla fatica del pensiero e dell’approfondimento. Ma è scritto bene e fa bene. Dopo questa dovuta premessa personale, andiamo a vedere di che si tratta.
Si tratta del volume Vangelo e provvidenza. Una teologiadell’azione di Dio, scritto dal teologo domenicano Emmanuel Durand. È – per quanto io sappia – il primo volume dell’autore che viene tradotto in italiano, mentre la sua bibliografia francese è più nutrita.
Il volume si pone una problematica familiare ai teologi che si pongono la questione di come comprendere e intendere l’intervento di Dio nella storia. Durand è cosciente di porre il problema in tempo in cui sono «divenute dominanti le figure del ritiro, dell’autolimitazione, della kenosi, della discrezione, o addirittura quelle dell’assenza o dell’impotenza, in forma di paradosso. La sovranità di Dio è lungi dall’essere evidente per la ragione dei credenti. Quando è riaffermata, lo è a prezzo di lunghi giri di parole o costruzioni complesse». Per questo motivo, l’a. intende soffermarsi ad approfondire il senso specifico dell’azione di Dio alla luce della Bibbia e della teologia. In ambito teologico, l’autore si interfaccia a tre teologia della Provvidenza assai diverse fra loro: quella di sant’Agostino, nella forma particolare delle Confessioni, quella di Tommaso d’Aquino nella Summa contra gentiles e quella del beato John Henry Newman nei suoi Parochial and Plain Sermons. Dopo il confronto con queste visioni, l’a. si sofferma a riflettere sulla questione dell’azione di Dio nel suo incontro e scontro con quanto non si possa ignorare in questo ambito: la questione del male, anzi, la questione della dismisura del male.



La tendenza moderna della discrezione ha preso il sopravvento probabilmente per le dimensioni massicce che ha assunto il fenomeno del male nel XX secolo. Quei «dov’è Dio?» ripetuti hanno spinto a una specie di reazione: «Poiché Dio non agisce, tocca all’uomo farlo».
L’a. spinge l’argomento alle sue estreme conseguenze: «Dopo la Shoah, ora Dio è tenuto, nei confronti dell’umanità devastata che aveva fede in lui, a restare esclusivamente discreto, poiché essa ha tolto il suo mantello di Noè e Dio è apparso così com’è: silenzioso e impotente di fronte allo scatenarsi di libertà malvagie». Questa percezione della realtà ha suscitato risposte esistenziali come quella di Dietrich Bonhoeffer (Solo il Dio sofferente può aiutare) oppure quella di Etty Hillesum (Dio non ci può aiutare. Siamo noi ad aiutare Dio). Per quanto forti ed esistenzialmente segnati e segnanti come risposte, «dal punto di vista teologico, – osserva Durand – sarebbe affrettato e incerto convalidare queste due caratteristiche come le sole che corrispondono a una definizione dell’azione di Dio, e non sono le più adatte. […] non conviene accoglierle come affermazioni di un nuovo discorso sull’azione di Dio, ma piuttosto come testimonianze di una nuova risposta esistenziale al sentimento dell’inattività di Dio».
L’a. manifesta la complessità della questione dell’azione di Dio nella storia offrendo una griglio con vari modelli raccolti da Ian G. Barbour nel suo libro Religion in an Age of Science. I modello sono quella della teologica classica, deista, neotomista, kenotica, esistenzialista, linguistica, incorporazione e process. La presentazione di questi modelli manifesta quanto sia complesso riflettere a fondo sulla provvidenza che non è possibile ridurre a un semplice schema e la conseguente importanza «di costruire una teologia della Provvidenza che non ceda troppo rapidamente all’invocazione facile di un governo divino, e che non sia nemmeno una negazione dell’immersione degli umani in una storia tortuosa».

Vangelo e provvidenza
Vangelo e provvidenza
Emmanuel Durand

L’azione salvifica, come presentata da Agostino nelle Confessioni, costituisce un esercizio di memoria e di rilettura che cerca di cogliere l’azione di Dio sul vivo. Dio è presente a tutte le cose in virtù della sua azione creatrice. Egli chiama alla salvezza e per questo fine si avvale di tutte le mediazioni umane, che siano lucide o cieche, rette o cattive. Così, ad esempio, Agostino parla del rapporto con il vescovo Ambrogio: «A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te».
«Nelle Confessioni, il discernimento dell’azione salvifica di Dio interviene a posteriori, attraverso uno sguardo retrospettivo, e l’interpretazione dipende interamente da una convinzione di fede. Allora bisogna forse temere che l’azione di Dio si riduca in fine interamente all’ermeneutica confessante condotta da Agostino stesso sulla propria vita? Sicuramente no. Certo, lo sforzo di rilettura è creativo sul piano letterario, ma di per sé non è creatore delle misericordie e delle grazie ricevute. Innanzitutto, la memoria delle misericordie di Dio è continuamente sottoposta all’inquadratura delle Scritture, come una griglia di interpretazione veridica».
San Tommaso d’Aquino ci presenta la questione in chiave collettiva e generale parlando della provvidenza di salvezza verso ciascuno. Per Tommaso, fra la Provvidenza eterna e il governo temporale di Dio, esiste una differenza di modalità importante. Mentre la Provvidenza eterna è concepita in modo immediata, senza alcun intermediario creato, il governo divino si avvale della mediazione delle cause seconde».  Le scelte umane restano veramente libere, ma non per questo sono al di fuori del campo di applicazione della Provvidenza divina. La fede nella Provvidenza divina non giustifica né il fatalismo né il quietismo e impegna l’uomo attivamente nella realizzazione del progetto provvidenziale di Dio. Scrive Durand: «Lungi dal deresponsabilizzare i soggetti etici attraverso una sorta di fatalismo o di quietismo, Dio sollecita l’azione umana mediante l’ordinamento e il governo della sua Provvidenza. Per questo l’impegno raddoppiato della fede, della preghiera, della deliberazione e dell’azione costituisce una risposta umanamente appropriata e spiritualmente pertinente al silenzio e alla discrezione di Dio, proprio mentre la sua “assenza” o il suo “ritiro” possono essere sentiti in modo estremo in certe situazioni limite». Tommaso d’Aquino inquadra il concorso della preghiera come caso particolare ed eminente dell’inclusione dell’azione umana nella Provvidenza divina. Così scrive nella Summa Theologiae: «È necessario che gli uomini compiano certe cose, non per cambiare coi loro atti le disposizioni divine, ma per attuare così codesti effetti secondo l’ordine prestabilito da Dio. […] Infatti noi preghiamo non allo scopo di mutare le disposizioni divine: ma per impetrare quanto Dio ha disposto di compiere mediante la preghiera dei santi; e cioè, come dice san Gregorio [nei Dialoghi], affinché gli uomini “col pregare meritino di ricevere quanto Dio onnipotente aveva loro disposto di donare fin dall’eternità» (STh II-II q. 83 a. 2 ad 2).
Il terzo medaglione, quello di John Henry Newman è più cristologico e riflette sull’incarnazione e la provvidenza particolare. Newman scarta l’ipotesi deista di un Dio in semplice ritiro davanti all’autonomia del suo creato. Agli occhi di Newman, «la sovranità divina è così potente che le chiamate provvidenziali di Dio si fanno tanto imperiose attraverso la coscienza, gli avvenimenti e le circostanze, quanto lo erano in passato per i familiari di Cristo, attraverso la voce carnale del Figlio di Dio».
Secondo Newman, lo studio delle Scritture permette di evitare due errori simmetrici, sia l’ignoranza totale della Provvidenza particolare, sia la sua stretta limitazione a se stessi. In compenso, «la Scrittura ci rappresenta questo privilegio [dell’amore particolareggiato di Dio] come una parte che spetta a tutti gli uomini, presi uno per uno». L’umanità di Cristo è l’espressione carnale di questa personale misericordia e attenzione di Dio dispensata nella carne.
Scrive Durand, riassumendo la prospettiva newmaniana: «Ogni avvenimento che coinvolgere le creature di Dio possiede due facce. Attraverso il velo del visibile, sotto il sistema del mondo e al di là delle ombre del peccato, un’altra dimensione traspare più o meno nettamente allo sguardo dei credenti. Gli attori invisibili, le realtà soprannaturali, le grazie divine e il disegno di Dio squarciano in certi momenti l’opacità del visibile, mentre essi sono la verità definitiva che è alla base del nostro mondo in ogni tempo. Lo svelamento è massimo attraverso la frequentazione evangelica dell’umanità concreta del Figlio di Dio, nei giorni della sua carne come nel tempo della Chiesa».

Le tre prospettive proposte sono portate poi dall’a. davanti al tribunale della «aporia della dismisura dei mali» dove «davanti alla declinazione dei mali e delle sofferenze, talvolta la bontà e la sovranità di Dio sono messe radicalmente in questione, o addirittura sotto processo». L’a., mettendosi in ascolto di questa questione scottante, evidenzia come l’aporia sollevata, troppo grande per una soluzione astratta e facile, trovi nel mistero pasquale «non una risoluzione, ma una via d’uscita». L’idea è che per onorare la sovranità di Dio fin nella dismisura dei mali, bisogna addentrarsi in una teologia della passione». 

Robert Cheaib
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