Jean Vanier è uno dei grandi profeti del nostro tempo. Nato come figlio di un grande politico canadese che fu governatore e ambasciatore, lui stesso è stato un ufficiale di marina, ma la sua vita ha trovato la sua fioritura quando ha cominciato la sua grande opera conosciuta come L’Arche, l’arca.
Nel libro La nostra vita insieme, edito dalla San Paolo, Jean Vanier racconta il cammino meraviglioso che il Signore ha fatto nella sua vita e nella vita della sua comunità. Ciò che distingue il libro è il fatto che non è scritto a tavolino o seguendo un progetto editoriale, ma è – come dice il sottotitolo del libro – Una biografia in forma di corrispondenza. Il volume raccoglie, infatti, oltre ai resoconti ad hoc di Jean Vanier, le lettere che mandava ai suoi fratelli nei decenni della nascita e dello sviluppo della comunità. Così abbiamo un tocco di mano spontaneo dell’opera di Dio in questa comunità e nella vita di quest’uomo.
Vediamo l’intuizione iniziale che prende forma nel 1950, quando Jean lascia la Royal Navy con il desiderio profondo di “diventare discepolo di Gesù e di incarnare il messaggio del Vangelo”. Ed è negli anni 60 che farà la prima visita a un centro per persone con deficit intellettivi. Lì rimarrà profondamente colpito perché – come racconta – incontra persone assetate di amicizia che chiedono candidamente e senza filtri, a differenza di chi è “normale”: “Mi vuoi bene? Vuoi essere mio amico? Tornerai a trovarmi?”. Jean trova nella fiducia in Gesù, e nel fatto che Dio è vicino a coloro che sono deboli e vulnerabili, la luce necessaria per capire che questi sono prediletti di Dio e l’energia necessaria per correre il rischio di intraprendere questa nuova avventura accanto ai disabili mentali, senza avere un progetto predisposto.
Secondo Jean Vanier, l’atteggiamento verso le persone con deficit mentale può attraversare cinque fasi distinte: la prima è una reazione di paura di fronte a ciò che è “anormale” e respingerlo con una violenza interna che si trasforma in violenza esterna a volte (come nel caso di Hitler).
La seconda fase è più diffusa: si riconosce che le persone portatrici di handicap sono esseri umani, ma sono poveracci di cui si devono occupare solo grandi istituzioni specialistiche.
La terza fase esige che impariamo a conoscere le persone disabili, capire i loro bisogni e aiutarle in maniera competente. È un atteggiamento che le aiuta a sentirsi accettate e a crescere. Essi non sono oggetto della nostra pietà, meritano il nostro rispetto.
La quarta fase, Vanier la descrive così: è la fase “in cui ci si meraviglia e si ringrazia: avvicinandosi alle persone disabili ed entrando in autentiche relazioni con esse, scopriamo che ci trasformano. Ci aiutano a lasciare da parte il desiderio di successo personale e di potere, e a seguire il desiderio di stare insieme ai più deboli, per aiutarli semplicemente a essere ciò che sono, sapendo che riceviamo da loro altrettanto o perfino più di quanto noi doniamo”.

Nella quinta fase, nelle persone scorgiamo il volto di Dio. La loro presenza è segno del Dio che ha scelto “ciò che è insensato per confondere il forte, l’orgoglioso e chi si crede saggio in questo mondo”. Quelli che consideriamo deboli, sono quelli che all’occhio di Dio valgono di più, essi “sono i più potenti tra noi, perché possono avvicinarci a Dio. Ribaltano il nostro mondo!”. Questa fase è la missione dell’Arca che non si accontenta di aiutare le dimensioni fisiche o psichiche ma anche di nutrire lo spirito.