Si parla dell’anima di un violino senza suscitare dissenso, ma quando si parla di anima umana, le opinioni divergono. «Il termine anima – scriveva Jacques de Bourbon Busset – possiede risonanze che per molti sono sospette». Alcuni la considerano un retaggio religioso da superare, altri la rimuovono con nonchalance come mitologia.
L’a. che si sofferma a riflettere sull’anima in un libro recente è il filosofo Xavier Lacroix il quale dopo aver affermato per anni che non c’è anima senza corpo, nel libro Abbiamo ancora un’anima?, tradotto per i tipi della Queriniana, afferma ora che non c’è corpo vivo senza anima.
La riflessione sull’anima porta l’a. ad evidenziare come l’anima in senso platonico non è uguale all’anima in senso cristiano. L’anima, cristianamente parlando, non si oppone al corpo. Anzi, per dirla con Charles Péguy, l’anima stessa è carnale (egli parla di âme charnelle). E, sempre nell’ottica cristiana, si ritiene che «la corporeità è un’interiorità radicale» (Michel Henry) perché è impossibile parlare del corpo senza trascendenza.

Abbiamo ancora un'anima?
Abbiamo ancora un'anima?
Xavier Lacroix

Lacroix afferma che «il modo di parlare dell’anima e il modo di parlare del corpo sono intimamente legati. Dimmi come concepisci l’anima, ti dirò come concepisci il corpo – e viceversa». Questa convinzione cristiana nell’inscindibile rapporto tra corpo e anima porta l’a. a guardare le varie declinazioni del tema sia in ambito teologico (ad esempio la questione della risurrezione della carne) sia in ambito morale dove il ventaglio delle tematiche calde è infinito.

Da quello che traspare dalla riflessione di Lacroix notiamo che egli non limita l’anima all’ambito psichico e non si limita a parlare di una antropologia tripartita (corpo-anima-spirito), ma riflette sull’essere umano come essere quadripartito, dal ritmo quaternario: corpo-psichismo-spirito-anima, dove anima è «la sottile punta dello spirito, attraverso la quale lo spirito si apre a qualcosa di più grande di lui, più grande dell’umano, che lo si chiami “grazia”, “divino” o “trascendenza”».  

Robert Cheaib
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