Proseguiamo il cammino di meditazioni quaresimali tratti dalla meditazione spirituale e teologica sulla figura di Mosè presente nel libro Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio. Oggi parliamo di "piedi nudi"... ma dirla così è riduttivo. Vi lascio al testo.
*
«Togliti i sandali dai piedi». La sorpresa della Presenza comporta l’esigenza della spogliazione. Non si incontra realmente Dio se non si muore a sé, ai propri programmi, ai propri schemi mentali, alle proprie sicurezze. «Dove appare la Shekinah, l’uomo non può camminare con le proprie scarpe»[1].
Il bisogno – il desiderio bisognoso, se così lo si può chiamare – porta le cose dentro di sé. Il desiderio purificato ci porta fuori verso un’alterità. Il bisogno guarda a se stesso, il desiderio guarda l’altro. Il bisogno consuma l’alterità, il desiderio la custodisce.
Il desiderio è ritmato dall’esodo. Più l’esodo è totale, più il desiderio è puro. «Il desiderio non è mai tutto mio, ma è piuttosto sempre aperto sulla figura dell’Altro e sulla sua alterità. Il desiderio non rafforza la credenza nell’Io ma la sfilaccia, la spiazza, la ridimensiona; è un’esperienza di indebolimento della credenza narcisistica dell’Io come identità chiusa e autosufficiente che afferma se stessa»[2].


Oltre la morte di Dio
Oltre la morte di Dio
Robert Cheaib
È qui, dinanzi alla totale alterità dell’Altro, che gli aspetti ancora “bisognosi” del desiderio vengono purificati. I nostri desideri ancora non raffinati cercano comunque di omologare gli altri a noi. L’ascesi del desiderio, invece, lo educa a diventare totale disponibilità all’Altro. Il desiderio purificato è mio, ma non è “io”, è altro, è l’Altro. «Mentre il “bisogno” tende a qualcosa che può adeguare la sua intenzione, colmare la sua fame, il Desiderio si caratterizza per una intenzionalità che non può essere mai adeguata o soddisfatta»[3].
Non si tratta di demonizzare i bisogni. Come umani, l’essere bisognosi è costitutivo della nostra natura, della nostra capacità di amare, della nostra intenzionalità desiderante[4]. Si tratta, però, di riconoscere continuamente la necessità di alimentare e di custodire il lavorio del desiderio che ci porta oltre le soglie dell’assimilazione di tutto al proprio ego e alla sua prospettiva. Tutto il lavoro della nostra vita è il giovanneo appianare la terra, eliminare gli ostacoli del cuore per prepararlo all’incontro con Dio. Non si riconosce Dio senza preparazione del cuore. Dio viene dove è avvenuto un esodo. Dio dimora dove gli si fa spazio. Ci si riveste di Dio solo spogliandosi di se stessi.
Questa verità relazionale deve fecondare il modo razionale di ragionare su Dio, il modo di fare teologia. Davanti al Dio che si manifesta – nelle epifanie visibili come anche nelle epifanie insondabili e ineffabili del cuore – la teologia positiva, ascendente, katafatica, deve fare spazio anche alla teologia negativa, discendente, in ginocchio e apofatica. Davanti all’Amore che ci guarda, le parole sono insufficienti, imbranate, solo la contemplazione, il ri-guardo, l’adorazione, la bocca che beve l’amore alla bocca dell’Altro sanno dire qualcosa del riverbero dell’incontro per eccellenza. Ritorna qui l’esigenza di coniugare la parola con il silenzio, l’affermazione con lo stupore, perché «i concetti creano idoli, soltanto lo stupore coglie qualcosa»[5].
L’approfondimento della conoscenza teologica deve ritornare sempre allo stupore primigenio e sorgivo dell’esperienza viva dell’incontro con il Dio vivente. «Ad ogni posizione della teologia affermativa corrisponde una negazione della teologia negativa. La strada della conoscenza teologica passa per questa dialettica e arriva dove è incominciata: allo stupore senza fondo»[6].
Togliersi i sandali è tralasciare la logica del disporre di qualcosa per disporsi all’incontro con qualcuno: «Le cose materiali posso indagarle da un punto di vista operativo e sottoporle a coercizione perché mi sono sottoposte. Ma già un altro essere umano non sono in grado di capirlo se lo tratto in quel modo. Al contrario, sono in grado di cogliere qualcosa della sua personalità solo se inizio a immedesimarmi empaticamente con la sua anima. Lo stesso avviene con Dio. Posso cercare Dio solo se dismetto i panni del dominatore. Devo invece sviluppare un atteggiamento di disponibilità, di apertura, di ricerca. Devo essere pronto ad attendere con umiltà e a consentirgli di mostrarsi come vuole e non come io vorrei»[7].


La voce che avverte Mosè lo richiama affinché il suo stupore non scivoli nella mera curiosità. La curiosità vede, si informa e passa oltre. Lo stupore guarda, si guarda dentro e si apre alla trasformazione. La curiosità fa il turista, lo stupore crea il pellegrino dell’Eterno. Lo stupore è preghiera e chi prega sa che non può scoperchiare l’Altro, ma può solo scoprirsi dinanzi a Lui. Chi prega sa che non può invadere Dio, ma che può invocare il coraggio per non evadere e la purificazione per disporsi all’invasione divina: «Il dominio è Tuo. Liberami da tutto quel che non ha diritto di accedere al Tuo regno»[8].
I piedi nudi sono fragili, devono fidarsi, devono camminare con più circospezione e attenzione. I piedi nudi, però, sono anche esposti, e proprio per questo possono recepire e percepire senza mediazioni e senza filtri.
Nello spazio divino si entra solo a piedi nudi in un affidamento pieno, in un riconoscimento totalizzante che solo Dio è la roccia affidabile, solo lui il custode che non prende sonno, solo lui il bene inesauribile, desiderio supremo dell’anima.




[1] Midrash Rabbah, Shemot II, 6.
[2] M. Recalcati, Ritratti del desiderio, 30.
[3] G. Ferretti, Emmanuel Levinas. Un profilo e quattro temi teologici, Queriniana, Brescia 2016, 56.
[4] Cf. C.S. Lewis, The Four Loves, Fount Paperbacks, London 1960, 8-14.
[5] Gregorio di Nissa, La vita di Mosè II, 165.
[6] J. Moltmann, Il Dio vivente e la pienezza della vita, 62.
[7] J. Ratzinger, Dio e il mondo, 94.
[8] A.J. Heschel, L’uomo alla ricerca di Dio, 18.

Robert Cheaib
Vuoi seguirci sul tuo smartphone? Puoi ricevere tutti gli articoli sul canale briciole