Quando avevo 22 anni, e mentre ero attanagliato da dubbi di Fede, lessi una illuminante immagine di padre Henri de Lubac: «Attraverso la più spessa muraglia di una prigione buia e sotterranea, la più piccola fenditura è sufficiente per attestare il sole. Così è in questo mondo opaco e pesante, un incontro furtivo con un santo è sufficiente per attestare Dio».
A 30 anni posso dire di aver fatto un incontro che testimonia la verità di queste parole. Ero con mia moglie, in un periodo piuttosto faticoso perché eravamo alla ricerca di una casa per la nostra famiglia che si stava allargando. Avevamo già un figlio ed eravamo in attesa del secondo e una casa con una sola stanza abitabile iniziava ad essere stretta. Per varie vie venimmo a sapere che nell'edificio dove vivevano Pierpaolo e Franca c'era un appartamento disponibile. Il proprietario non abitava più lì e quindi andammo da questa sconosciuta coppia per avere informazioni.



Ho ancora impressa nella memoria la luce di quell'incontro. Non mi ricordo che tempo fosse fuori. Dentro quella casa era primavera. C'era luce e c'era tanta pace e tanto amore accogliente. Se dovessi descrivere quel pomeriggio con un'immagine evangelica, quella che mi verrebbe in mente è l'immagine della samaritana che va ad attingere acqua ma poi dimentica la brocca perché aveva fatto un incontro più prezioso e più essenziale dell’acqua. Praticamente non abbiamo parlato dell'appartamento. È nata un'amicizia.
Contrariamente al mio solito, ho desiderato scambiare i contatti con Pierpaolo. Non potevo esercitare la mia solita discrezione e riservatezza perché ero attratto. Il già citato padre de Lubac diceva: «La Vita attrae, come la gioia». E Pierpaolo, pur con la minaccia di una malattia, nunzia di morte, aveva gioia e aveva Vita.
Nei mesi a seguire ci siamo scritti qualche messaggio e in tutto ci saremmo visti un paio di volte. Ma non posso che arrogarmi il diritto, anzi, il privilegio di essere amico di Pierpaolo. La luminosità del suo sorriso, urgenza impellente che mette il suo ricordo di essere totalmente di Gesù e di essere santi felici e contagiosi di felicità me ne fa un grande familiare e amico. Motivo per cui, al funerale di Pierpaolo, pur abitando fuori Roma, ci abbiamo tenuto, mia moglie ed io, a essere presenti. E abbracciando Franca per le condoglianze, non potevo che sussurrare al suo orecchio la timida speranza che custodisce la gioia.
No, non sono un inopportuno esaltato che pensa che il cristiano deve essere sempre ottimista, positivo e sprizzante di gioia. So che il mio Salvatore, davanti alla morte di un amico – Lazzaro – si è commosso profondamente per ben due volte. Ma non potevo che respirare la speranza che Pierpaolo aveva, viveva e trasmetteva. Non era la morte di un uomo qualsiasi. Era il passaggio alla vita di un'anima eletta. Si poteva sentire quel giorno la speranza che animava santa Teresina di Gesù Bambino la quale dichiarò: «Io non muoio, Ma entro nella Vita».


Pierpaolo non c'è più fisicamente, ma c'è in tanti giovani che hanno avuto la grazia di averlo come formatore. C'è nella parrocchia dove ha fatto catechismo per tantissimi anni… e c'è anche in una persona che mi è più che amica, è una sorella, sua sposa Franca, che mi ha dato l'onore e l'onere di premettere e di presentare quest'opera.
È con tanta reverenza e con tremore sacro che scrivo queste righe, volutamente brevi, per paura di intralciare con la prosa il contatto e l’impatto immediato con la musica di un uomo che ha vissuto ed è morto in odore di santità.
San Francesco di Sales diceva che la differenza tra il Vangelo e la vita dei santi è come la differenza tra la musica scritta e la musica eseguita. Le pagine che avrai modo di toccare, caro lettore, emanano questa musica, musica evangelica contraddistinta per la sua inimitabile e profonda semplicità. Musica non ingenua perché non parla di una bellezza senza croce. Non parla di amore senza morte. Non parla di incontro senza costoso esodo.
Rimanendo nell’analogia musicale, questo testo si compone di due canti convergenti:
Il primo canto è un duetto: Franca che ricostruisce la vita di Pierpaolo, il loro incontro, la loro gioia e la loro battaglia contro la malattia. Nella sua voce si sente la voce di lui e si percepisce la sua presenza. Quasi fossero variazioni sul Cantico dei Cantici.
Il secondo canto è il libro che Pierpaolo aveva iniziato a scrivere, un libro di realismo dove si tocca con mano il difficile ma affascinante cammino di santificazione della sorte umana. Ha ragione Martin Heidegger nel definire l’uomo come «essere per la morte»? Sì e no. Sì, perché la morte è inevitabile. No, perché l’uomo in Cristo può morire vincendo la morte. Leggendo queste pagine si scopre un uomo che impara ad abbracciare la croce e si vedono germi di risurrezione già percepibili in questa vita.
«O dolce sorella sofferenza, / ho temuto per causa tua di toccare il fondo; / ma ora di te non posso fare senza / perché so che il tuo farsi dono sorregge il mondo».
I due “libri” sono uno solo, perché entrambi attestano come questi due sposi hanno vissuto la una caro non solo nella salute, ma anche nella malattia. E quindi c’è un che di nuziale anche nella struttura di questo testo. Una marcia nuziale tra le spine di questa storia che parla di vita, parla di un Vangelo che entra nella vita e la trasfigura. Parla di una storia travagliata ma anche di un Dio che visita la storia e rinnova ogni giorno la sua alleanza tessendo un ponte arcobaleno tra il cielo e la terra.
Pierpaolo non si vede, ma c’è. Lui stesso ci dà appuntamento. «I santi – diceva Henri Bergson – non devono fare altro che esistere. La loro esistenza stessa è una chiamata e un richiamo». Lascio le ultime parole a un richiamo di Pierpaolo, rivolto in senso pieno a Franca, ma in un altro senso a noi, a chi è schiacciato dal dolore, a chi è spaesato da un non senso, invito e richiamo a cercare Colui che ha seminato Vita e Gioia nella morte e nella sofferenza:
«Se non riesci più a vedermi, / a stringermi, / ad accarezzarmi, … / … allora cercami

dove sono: … / … in quel raggio / di alba / che dà luce / all’attimo / della tua vita».

Il testo è la prefazione al libro che raccoglie le memorie di Pierpaolo Conti, Un ponte arcobaleno tra i prati e il cielo
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