La teologia parla dell'eterno, ma il suo parlare si rivolge a un uomo temporale, inserito in una cultura, in una storia, un uomo che ha un carattere in evoluzione e una psiche con le sue esigenze. Per questo, l'annuncio teologico non può che confrontarsi con le culture nelle quali, e alle quali, annuncia il Vangelo. La teologia non può che farsi interlocutrice delle scienze che riguardano l'essere umano. Il lavoro interdisciplinare, naturalmente, non è tra i più facili. Ogni disciplina ha la sua storia, la sua metodologie, i suoi contenuti e le sue prospettive. A questa si aggiunge una difficoltà “soggettiva” consistente nella non facile competenza di una persona sola in vari ambiti disciplinari.



Questa difficoltà, però, non deve distogliere dall'opportunità, anzi, dalla necessità di un approccio interdisciplinare sull'uomo. Lo sguardo psicologico-dinamico sull'essere umano, infatti, non può accontentarsi di studiarne i meccanismi psicologici. Parimenti, l'approccio teologico non può rivolgersi a un uomo che non ha un radicamento nelle sue strutture psicofisiche.
Il libro di Fabrizio Rinaldi, Vocazione cristiana come dialogo tra teologia e psicologia, ha il merito di tentare «una teologia capace di “sop-portare” la psicologia e di far incontrare una psicologia capace di invocare la teologia», come afferma Roberto Repole nella sua prefazione al volume.
La riflessione di Rinaldi si avvale degli studi di due maestri, Il teologo Edvard Schillebeeckx e lo psicologo Alessandro Manenti. La sfida che Rinaldi affronta nel suo volume potrebbe essere riassunta nella domanda metodologica di come possa essere istituito un dialogo corretto e produttivo tra discipline diverse che si interessano della persona umana.
Sulla base della prima parte metodologica e introduttiva, in dialogo con i contributi dei due maestri appena citati, l'autore presenta nella seconda parte del libro una serie di situazioni vissute, analizzandone la portata con la duplice ottica psicologica e teologica, ponendo particolare attenzione alla dimensione dell'interiorità e a quella delle relazioni interpersonali.

L'autore è attento a non cadere nel «rischio di invasioni indebite» tra i vari ambiti, chiarendo che «il rischio di forzare una disciplina entro uno schema concettuale elaborato altrove non si realizza soltanto quando la psicologia vuole ridurre a se la teologia o viceversa, ma anche quando entrambe vengono costrette in un quadro filosofico che non appartiene loro».
Vuoi seguirci sul tuo smartphone? Puoi ricevere tutti gli articoli sul canale briciole