L’esodo costituisce per Israele l’evento fondamentale della formazione dell’identità del popolo di Dio e della definizione della sua relazione con il Signore. Questo evento di liberazione è allo stesso tempo fondazionale ed esemplare. È fondazionale perché anche gli altri esodi e le altre liberazione del popolo vengono letti alla luce di questo esodo e come continua fedeltà del Signore a quanto ha operato. Ed è esemplare perché è il paradigma dell’opera del Signore verso la comunità e verso il singolo lungo la storia.
Nel volume Salvezza e liberazione: l’Esodo riedito dalla EDB, Luis Alonso Schökel presenta uno studio esegetico, semantico e teologico del paradigma dell’Esodo rinvenendo un paradigma in due movimenti costituito dall’uscire (dall’Egitto, dalla schiavitù, dal lavoro forzato) e dall’entrare ( nella terra, nei doveri, attraverso il deserto).
Un’obiezione alla paradigmaticità dell’Esodo potrebbe vertere sul linguaggio inattuale dell’Antico Testamento, un linguaggio primitivo che difficilmente parlerebbe all’uomo contemporaneo e lo convincerebbe. Tale obiezione pretenderebbe un impegnativo lavoro di demitizzazione e di concettualizzazione.
A tale obiezione l’a. risponde puntualizzando l’importanza e l’attualità del linguaggio simbolico. Egli evidenzia come il linguaggio simbolico costituisca «semmai un vantaggio, nella prospettiva di un linguaggio più universalmente umano. Sono il linguaggio concettuale e il linguaggio che si serve di una terminologia specifica, quelli più condizionati dalle culture. Il contatto vivo e dialettico con i simboli dell’AT è, per una teologia biblica, garanzia di vitalità».
 A conferma della sua lettura, Schökel presenta un esempio moderno ispirato al racconto di un ebreo yemenita che vive e narra l’esperienza del rimpatrio nello stato di Israele ricorrendo alle immagini e al lessico biblici.


«Vivevamo nell’esilio e attendevamo la redenzione, senza sapere se sarebbe arrivata. Uno dei nostri si recò in viaggio alla capitale e tornò annunciando: “Esiste uno stato d’Israele”. Non sapevamo se era la verità. Passarono molti giorni senza una parola o un segnale. Ma si diffondevano rumori. Gente venuta da lontano ci diceva: “C’è un re in Israele”. Più tardi giunsero e dissero: “C’è un esercito in Israele, un esercito di eroi”. Infine giunsero e dissero: “Queste sono le piaghe che annunciano il Messia, c’è guerra in Israele”. E noi proseguivamo nell’esilio, senza sapere se era la verità. Continuavamo ad attendere la redenzione, ma lo spirito cominciava a stancarsi. Rifiutavamo l’esilio e ci pareva che lo spirito di Dio da dentro ci esortasse: “Venite con me, marciate verso la terra d’Israele”. Non smettevamo di chiederci: “Ci sono notizie della redenzione?”. E ci rispondevano: “Restate in attesa, la profezia si compirà a tempo debito”.
Un bel giorno giunse una lettera del Shaliya: “Su, fratelli! Alzatevi, che è suonata l’ora. Il nostro paese ha bisogno dei suoi figli, di costruttori per la sua e la nostra redenzione, per sollevare le sua braccia e coltivare i suoi deserti...”. Vendiamo le nostre case e i nostri beni, e senza (riceverne) denaro: lasciamo le nostre sinagoghe ai gentili... Prendiamo con noi i rotoli della Legge e gli oggetti sacri. Facciamo scorta di provviste per il viaggio, ogni famiglia il suo: frittata e burro, carne secca con spezie e caffè. Prendiamo farina per il viaggio. Le donne, intanto, raccoglievano rami e facevano fuoco in bidoni vuoti in campo aperto e cuocevano il pane; o rotolavano le pietre nello sterco e le applicavano al fuoco... Da tutti gli angoli dello Yemen arrivavano gruppi e noi svenivamo per l’ansia di vedere coi nostri occhi la terra d’Israele.
Così giungiamo ad Aden: coi piedi gonfi, derubati, deboli e privi di tutto. Ci riunirono in un vasto campo nei pressi della città. Sebbene si estendesse fino alla sabbia del deserto, era piccolo per dare rifugio a noi tutti. In gran numero ci stendevamo nella sabbia, il cielo per tetto, famiglia per famiglia: infuriavano tempeste di arena e di dentro pregavamo per la nostra aliya: “Che in ali di aquila ci portino al nostro paese”. E ci portarono per l’aria».
La funzione esemplare è anche una funzione generatrice. Il ricordo del passato contagia il presente e lo modella. La fedeltà di Dio contemplata nel passato suscita la fiducia nella fedeltà di Dio oggi e la speranza nella sua fedeltà domani.
Il primo esodo attraversa la Bibbia e dà tono al secondo esodo da Babilonia e il ritorno in patria, e al terzo esodo che consiste nell’uscire dalla diaspora verso il regno escatologico. In questo modo, «il complesso letterario dell’esodo si trasforma in archetipo teologico proprio di una soteriologia biblica».
Il volume ripercorre, nella linea di questo afflato innovatore del tema dell’esodo, le varie forme dell’uscire, dove l’uomo esce per nascere, come esce dalla vita morendo. Esce per il suo lavoro quotidiano ed esce per incontrare l’amore. La parola esodo, yasa’, ricorre un numero significativo di volte (94 volte in Esodo, 70 in Numeri, 41 in Isaia, 70 in Geremia, 74 in Ezechiele).
Oltre alla tematica trasversale dell’esodo, il volume approfondisce anche le varie esperienze che accompagnano l’esperienza storica dell’esodo tra i quali ricordiamo: la schiavitù, il cammino nel deserto, l’ingresso nella terra promessa, la terra quale dimensione giuridica e teologica, le resistenze e le vittorie del popolo di Israele, ecc.




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