Nelle Lezioni americane, Italo Calvino dipinge i tratti fragili e insicuri di un’epoca contraddistinta da «leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità». In un mondo segnato da rapidi cambiamenti che sfiniscono, dove l’essere è assorbito dall’apparire e la scelta dall’altalena delle emozioni, diventa difficile immaginare legami stabili e un amore “per sempre”. Anzi, chi crede e difende il per sempre viene immediatamente tacciato di ingenuità e considerato un illuso retrogrado e un’inguaribilmente romantico.
Parlare d’amore richiede lucidità e vivere l’amore richiede coraggio, coraggio dipinto nelle pagine dell’inno all’amore che costituisce il cuore della Bibbia: il Cantico dei cantici.
Il volume Il mio amato è mio e io sono sua.Un percorso di coppia alla luce del Cantico dei cantici edito dalla EDB e che porta varie firme tra cui quello della biblista Donatella Scaiola, la teologa Serena Noceti e con una prefazione del teologo Luciano Meddi, prende spunto dalle ricchissime suggestioni del Cantico (= Ct) per offrire agli sposi uno strumento che gli accompagni nelle varie stagioni dell’amore, attraverso la convergenza di un approccio insieme biblico, teologico, liturgico ed esperienziale (in coppia e in gruppo).
L’accompagnamento nelle varie stagioni dell’amore si mostra sempre più cruciale e fondamentale e diverse realtà ecclesiali iniziano a prendere atto della lacuna che le ha viste concentrate sulle pastorale preparativa al matrimonio e poco presenti nelle stagioni che seguono che spesso risultano anche più tempestose.




La lettura presentata del Ct non è continuativa, ma per così dire tematica. I temi sviluppati sono: il desiderio; il corpo, l’eros, i sentimenti; dalle famiglie d’origine, una nuova storia; identità e alterità; un amore di coppia reciproco e paritario; la fedeltà della coppia, la coppia come immagine di Dio.
Ogni tema è presentato seguendo uno schema fisso: il testo del Ct scelto; una riflessione biblica; una riflessione teologica; una traccia per la riflessione personale e in coppia e per la discussione in gruppo; una traccia per un momento liturgico coniugale.
Tornando al Ct, una delle prime cose che colpiscono in questo libro ispirato inserito sia dagli ebrei, sia unanimemente dalle diverse confessioni cristiane nel Canone delle Scritture, è che in esso il nome di Dio non compare se non una volta sola in maniera indiretta e abbreviata. Eppure è presente lì. È presente nelle 26 ricorrenze della parola «amato» (26 è il valore numero della parola JHWH). È presente perché se ne fa esperienza e quindi non è strettamente necessario nominarlo perché sia presente. «Egli è infatti l’invisibile tra l’amata e l’amato del Cantico» (12).
In un linguaggio poetico, ma proprio per questo più incisivo ed efficace, il Ct ci mostra la verità paradossale e dialettica della vita e dell’amore fatta di incontro e di ricerca reciproca, di desiderio e di coraggio, ma anche di scuse accampate per evitare il compromesso. «Mi sono tolta la veste, come indossarla di nuovo? Mi sono lavata i piedi; come sporcarli di nuovo?» (Ct 5,3-4).
Un altro elemento interessante è il dialogo. Esso permette una relazione reciproca ma non confusiva, un rapporto in cui l’altro rimane altro e non viene omologato, assimilato o manipolato.
La reciprocità tra i due è evidenziata dal chiamarsi e richiamarsi reciproco. Non si tratta del dar nome genesiaco, dove l’uomo dà il nome per esprimere superiorità verso creature mute, ma del chiamarsi che interpella una risposta e una parità.
Nelle parole che ognuno dice dell’altro si manifesta lo sguardo e l’esperienza reciproca, l’uomo è paragonato al cerbiatto, animale non violento, agile, libero non addomesticabile, mentre la donna è paragonata a una colomba che sta nella fenditura della roccia, immagine che esprime inaccessibilità, misteriosità, custodia.
Nelle parole scambiate c’è un invito a partenze assolute: «Alzati, mia amica…». Partenze che non spengono il desiderio ma lo accendono, perché ogni punto raggiunto è un nuovo inizio. D’altronde, Lévinas declina la parabola del desiderio in questi termini: «Il desiderabile non sazia il mio desiderio, ma lo rende più profondo, nutrendosi in qualche modo di nuova fame».
Lo spazio dato al desiderio è uno spazio di autenticità dove ognuno si scopre soggetto compiuto, capace di reggersi, ma anche soggetto incompiuto che si fa apertura. «Per il suo compimento, il desiderio ci chiede di rinunciare all’autonomia, di dichiarare il limite, di riconoscersi nella relazione, desideranti l’altro e desiderosi di essere riconosciuti dall’altro e con l’altro» (43).
Le pagine del Ct, così esplicite e così innocenti allo stesso tempo, ci aiutano a «svelenire l’eros» per evocare un’accusa che Nietzsche aveva lanciato al cristianesimo che «ha avvelenato l’eros» e la corporeità. L’eros del Ct, però, non è un eros scatenato, ma è un eros che crea legame, crea relazione, un eros che non perde di vista il viso dell’altro e quindi il nucleo della sua personalità e alterità. Non a caso l’amato chiede all’amata: «Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce» (Ct 2,14). È lei, nella sua irriducibilità e personalità che vuole e desidera e non una parte di lei. Quindi il Ct ci mostra i corpi sessuati, senza scadere nel genitalismo o nell’erotismo impersonale. Il Ct ci spinge a riscoprire il valore del corpo nel suo orientamento all’integralità dell’uomo e all’integrazione nell’esperienza spirituale globale.

Il cammino della coppia, come esplorato dal testo che abbiamo brevemente attraversato tocca poi altre tematiche attinenti alla coppia nel suo rapporto agli altri e a Dio. L’immagine che ne risulta è una coppia e una famiglia in tensione escatologica tra il «già e non ancora» che si compie in Dio.