A oltre 50 anni dal Concilio, il ruolo dei laici nella Chiesa cattolica rimane ancora una questione spinosa di difficile gestione e definizione. Anzi, alcuni osservatori notano nei recenti anni un’ondata di neo-clericalismo anacronistico che reagisce e cerca di contrastare l’onda nata dal Concilio Vaticano II. Quest’onda regressiva trova, però, oltre al fattore temporale accennato, anche difficoltà oggettive legate ai numeri. Di numeri si tratta quando si parla di calo di vocazioni al sacerdozio, e di numeri si tratta quando si parla del numero di fedeli praticanti.
Questo contesto non per niente semplice e di facile gestione è il contesto riflessivo della documentata opera di Peter Neuner, Per una teologia del popolo di Dio. Il teologo tedesco riprende studi e intuizioni che ha già iniziato ad abbozzare negli anni ottanta del secolo scorso e li approfondisce con altra bibliografia e con l’aggiornamento inevitabile degli avvenimenti sullo scenario ecclesiastico e mondiale.
Il punto di partenza della riflessione di Neuner fa tutta la differenza. Egli non cerca la soluzione della questione a partire dalle urgenze che impongono la loro agenda, ma va a documentare minuziosamente lo sviluppo dell’idea del laicato nella storia. La riflessione e la proposta sistematica di Neuner, che costituisce la quarta parte del volume, viene stabilmente fondata e dedotta alla luce della scrupolosa analisi dello sviluppo del concetto e della realtà del laicato nelle tre parti precedenti. A partire dalla Scrittura e dal protocristianesimo, passando per il medioevo e l’era moderna, giungendo alla riscoperta conciliare, fino agli ultimi sviluppi e le ultime acquisizioni post-conciliari.
L’importanza della questione posta da Neuner trova conferma nei recenti pronunciamenti magisteriali. Benedetto XVI, nel 2012, ricordava che in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito Santo che spinge a evangelizzare. Il papa teologo ricorda che nella Chiesa non ci sono cristiani di serie A e cristiani di serie B, non ci sono credenti e clienti, ma tutti portatori dell’unzione di Cristo, un popolo che evangelizza continuamente evangelizzando se stesso e vice versa.


Papa Francesco, dal canto suo, nella Evangelii Gaudium scrive: « I laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio. Al loro servizio c’è una minoranza: i ministri ordinati. È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa. Disponiamo di un numeroso laicato, benché non sufficiente, con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede. Ma la presa di coscienza di questa responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale».
In questo invito alla lettura presentiamo alcuni elementi fondamentali e fondanti che l’A. traccia nella prima parte della sua opera.
I “laici” nella Bibbia
Il termine “laico” è entrato con il greco laós nella traduzione greca, la Septuagenta, della Bibbia, detta anche la Settanta (LXX). Il termine viene a tradurre la parola ebraica ‘am che indica il popolo di Israele. Gli altri popoli infatti sono indicati con un altro termine, éthn­­e, le “nazioni”.
Passando al Nuovo Testamento, è opportuno osservare che Gesù stesso veniva dal popolo, da una tribù non distinta per alcun tratto sacerdotale (la tribù di Giuda, di cui è discendente Davide). Anzi, come osserva Grabner-Haider, Gesù apparteneva socialmente a una classe inferiore del popolo, il popolo lavoratore, essendo un “falegname” (techné), come evidenzia il vangelo di Marco (6,3). Gesù apparteneva allo ‘am ha’ares, al «popolo comune che vive nelle campagne».
Quando il NT parla di laós si colloca nella scia dell’AT. Così il termine viene a indicare il popolo nuovo di Dio, la comunità cristiana. Ma vi è una novità importante: «La contrapposizione tradizionale tra laós e éthne è superata: si afferma che ora la comunità cristiana è il popolo e che esso si forma a partire dagli éthne, dai pagani».
Tutti sono laici!
Nella concezione del NT tutti fanno parte del popolo di Dio. Possiamo dirlo, in un’accezione che – naturalmente si differenzia dal peso che diamo a queste parole oggigiorno – «tutti fanno parte del laós, i presbiteri, i vescovi, i diaconi, le guide delle comunità, i profeti. In questo senso, quindi non è ammissibile indicare con il concetto di “laico” una classe all’interno della chiesa distinta da altre classi. Piuttosto, secondo il Nuovo Testamento si deve dire “che è propria della chiesa una struttura profondamente laicale”. “La categoria di ‘laicità’” è “dimensione propria di tutta la chiesa”».
Da quanto evidenziato si evince che il concetto di laico, secondo l’uso che della parola verrà fatto nei secoli successivi, a partire dal III secolo, «non ha la propria origine nel laós del Nuovo Testamento, ma in una contrapposizione fra la gente comune e le guide del popolo».
Questo mostra che la teologia del Concilio Vaticano II, nel suo recupero della categoria del popolo di Dio non fa un’innovazione inaudita, ma recupero una categoria originale della teologia neotestamentaria, che mette nel radici, a sua volta, nella teologia dell’AT.

Giova puntualizzare, a scanso di equivoci, he la categoria di laós, che accomuna tutti nell’appartenenza al popolo di Dio, non appiattisce i carismi e i ministeri, ma costituisce il terreno comune su cui si innestano e prendono significato tutti i carismi e i ministeri che costituiscono la varietà del popolo di Dio e le molteplicità dei doni del corpo di Cristo, non per «una glorificazione o una soddisfazione personale, ma per l’edificazione generale».