Robert Cheaib, moon

Premessa...
Probabilmente la lettura riduttiva più diffusa del vangelo è quella moralizzante. La scelta del suffisso “ante” è per evidenziare una negatività non legata alla lettura morale della Bibbia, ma alla riduzione di tutta la potenza globale del vangelo a un moralismo, spesso da quattro spicci. Evitiamo qui di allargarci sull’opzione di pessimo gusto consistente in un moralismo proiettato piuttosto che tratto dalla Pagina Sacra.
I Padri antichi vedevano nella pagina sacra un messaggio ricco e integrale che si riassumeva per alcuni in tre sensi, per altri in quattro. Tale visione è stata riassunta nel celebre distico di Nicola di Lyre: «La lettera insegna quanto è avvenuto, / l’allegoria quello che devi credere, / la morale quello che devi fare / l’anagogia il fine a cui devi tendere». (Littera gesta docet, / quid credas allegoria, / moralis quid agas, / quo tendas anagogia).  
Gli ultimi due secoli sono stati arricchiti da un massiccio sviluppo della sensibilità e della scienza psicologica/psicanalitica. Si potrebbe pensare che sia giunto il momento di integrare – almeno nella lettura esistenziale della Scrittura – la dimensione psicologica, dato il rapporto vitale e cruciale che intercorre tra piscologica e fede. Tale attenzione non è una “moda” estranea alla Scrittura. La Bibbia bada all’uomo e si rivolge all’uomo in tutta la sua integralità e per restituirgli la sua integrità. Da qui l’importanza e l’attualità del libro di Simone Pacot, L’evangelizzazione del profondo, giunto alla sua settimana edizione nella traduzione italiana della Queriniana.

Tra anima e spirito
L’autrice, animatrice di vecchia data delle sessione sull’evangelizzazione del profondo tenute dall’équipe dell’Associazione Bethasda, è convinta che è inutile lavorare sui sintomi quando l’epicentro dei problemi è altrove. In altri termini, non si possono risolvere alcune irregolarità dalla vita semplicemente contrastando il sintomo piuttosto che andare a capire la motivazione che lo porta a galla.
La lettura della Bibbia che distingue l’approccio di Pacot punta a far giungere la parola di Cristo alle «nostre pulsioni più profonde, le nostre difficoltà più sepolte e più acute, i nostri istinti di morte, di distruzione e di autodistruzione».
Ciò che blocca la nostra fede, infatti, non è solo di natura teologica, ma tante volte – e molto più spesso – è di natura psichica perché «viviamo circondati e bardati da difese. Le quali non sono cattive, tutt’altro. È bene proteggersi. Ma è essenziale uscire a poco a poco dalla diffidenza da noi stessi e accogliere i nostri primi movimenti come preziose fonti di informazione. Osare, infine, presentarci a Dio così come siamo, senza timore alcuno e in completa fiducia».

Guarigione dell’immagine di Dio
Il cammino proposto da Pacot cerca con introspezione e ascolto della parola di Dio a rimuovere gli ostacoli che intralciano l’ingresso della luce del vangelo nella nostra interiorità attraverso l’identificazione degli archetipi che per noi sostituiscono l’immagine di Dio o la correzione delle immagini sbagliate che abbiamo di Dio (tipo un Dio che vuole la sofferenza per l’uomo) mentre, come afferma Xavier Thévenot: «La sofferenza non è un alleato per Dio, ma un avversario». Così come l’idea che è la sofferenza a redimerci, mentre in realtà è l’amore di Dio – che ci ha amati fino ad accettare la sofferenza – ci redime. Si nota così che il cammino di risanamento percorre due binari interdipendenti: quello riflessivo e quello affettivo. D’altronde è inevitabile che le false nozioni su Dio pervertano anche i sentimenti che possiamo avere nei suoi confronti.
Anche la «morte» che siamo chiamati a morire va compresa. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, resta solo. Ma se muore porta molto frutto». Morte non è distruzione. Se sbagliamo o fraintendiamo la morte, rischiamo di far morire ciò che deve vivere in noi e di lasciar vivere, invece, ciò che dovrebbe morire ed essere trasformato.

… e di se stessi
Ma gli ostacoli, non sono solo ostacoli teologici, sono ostacoli che riguardano la nostra umanità. È essenziale, infatti, rinunciare all’immagine idealizzata di noi stessi che abbiamo creato nel tempo, la quale ci cela la nostra verità. È difficile essere semplicemente se stessi. Viviamo con le maschere anche quando siamo soli. E confondiamo la perfezione del vangelo con il perfezionismo. Accettare se stessi e i propri limiti è imparare da Cristo come vivere i fallimenti, le delusioni e come rimettersi in cammino dopo un tradimento, un abbandono, un grave fallimento, come convivere con un handicap, una sofferenza o una malattia.

Nel riconoscere il proprio limite, l’uomo rinuncia al mito dell’onnipotenza che viene messo in atto in due modi: o negando Dio o sostituendosi a Dio. Riconoscendo la nostra povertà, invece, ci disponiamo ad aprirci alla voce di colui che ci tocca, tocca la nostra cecità, la nostra sordità e il nostro mutismo e pronuncia la parola ricreatirce: effatà, apriti… alzati e risplendi.