Parliamo di globalizzazione come se fosse una realtà senza precedenti. Uno sguardo più attento alla storia ci ricorda che la globalizzazione è un fenomeno antico e legato alla voglia espansiva dell’uomo di tutti i tempi. La globalizzazione dei nostri tempi si distingue per i modi e i contenuti, non per l’essenza.
Nel suo libro Globalizzazione e teologia Joerg Rieger dedica l’attenzione al fenomeno della globalizzazione da un prospettiva particolare: quella del confronto con la teologia. Giacché la stessa teologia cristiana ha avuto una propria storia di globalizzazione e di universalizzazione, capiamo che globalizzazione e teologia «non sono due soggetti separati». L’autore mostra che la connessione fra i due non è semplicemente artificiale. Già la scelta di scrivere e diffondere il Nuovo Testamento nella Koiné greca, la lingua globale allora, anziché quella aramaica parlata dai discepoli è una scelta di globalizzazione. La “cattolicità” apostolica e missionaria della fede è un altro elemento di essenziale globalizzazione del cristianesimo.
Considerare la teologia all’interno del processo stesso di globalizzazione mostra la complessità – di fatto e necessaria – del fenomeno. Ridurre la globalizzazione, infatti, a meri fatti economici e tecnologici è fuorviante perché ignora altri elementi costitutivi del processo di mondializzazione.
Il libro mette a confronto due modi contrapposti di globalizzazione:
1) la globalizzazione del potere duro che parte dall’alto verso il basso imponendo la diffusione della sua visione e del suo dominio. Rieger mostra come tale globalizzazione ha trovato spesso un supporto religioso. Questa forma di poter che si esercitava solitamente con la forza delle armi, continua ad essere esercitata oggi in forme più sottili: «Oggi il potere appare in forme più morbide, spesso sotto la veste di relazioni economiche e culturali, dove a prima vista la linea di divisione tra oppressori e oppressi sembra essere diventa poco chiara. Eppure le differenze di potere non sono sparite e anzi, se possibile, sono divenute ancora più nette» (62).
2) la globalizzazione costruttiva e benevolente, fondata sulla prassi del Nazareno. Una prassi non di oppressione, ma di liberazione. L’annuncio di Gesù è un annuncio di globalizzazione della misericordia e della salvezza di Dio. Gesù è unto per «portare la buona notizia ai poveri» proclamando «la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, a rimettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Con Gesù «Emerge una nuova forma di globalizzazione che si contrappone fin dall’inizio a quella dall’alto al basso dell’impero romano: è una globalizzazione che unisce quelli che sono oppressi e dà loro speranza» (40). In Gesù, Dio si schiera sempre e in modo incondizionato e appassionato dalla parte degli oppressi, contro i superbi e a difesa dei disprezzati (Karl Barth).

Con l’insegnamento del Cristo, la globalizzazione acquisisce una nuova idea di leadership, non fatta di centralizzazione, ma di effusione e condivisione, ossia, di comunione. Scrive Dietrich Bonhoeffer: «Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi – in una parola, dei sofferenti».