Una storia della teologia è un genere particolare di storia. Non si tratta semplicemente di una storiografia con attenzione biografica ai teologi o bibliografica alle loro opere. La sua vera sfida è quella di ricostruire l’influsso del pensiero teologico sul dipanarsi della storia generale.
Dopo aver guardato al primo millennio cristiano con il primo volume dell’opera Storia della teologia, nel presente volume presentiamo il secondo volume di questa trilogia. Curato da Giuseppe Occhipinti, il volume copre il periodo che si estende da Pietro Lombardo a Roberto Bellarmino.
Il volume, in meno di 700 pagine, offre una ricca rassegna di secoli movimentati e decisivi per la storia della teologia. Oltre alla scansione per epoche, il volume offre delle preziose monografie su Bonaventura, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Giovanni Duns Scoto, Guglielmo d’Ockham, Martin Lutero e altri.
La conoscenza di Dio nella Summa contra Gentiles
Per offrire un assaggio dell’opera , abbiamo scelto di concentrarci sulla conoscenza di Dio come la intende san Tommaso d’Aquino. Nella Summa contra Gentiles, l’Aquinate spiega che nel parlare di Dio bisogna adottare principalmente la via della rimozione, la quale – come precisa l’autore della monografia Ignacio Andereggen - «non è esattamente la tessa cosa della negazione, poiché quando si nega non rimane nulla, e quando si rimuove rimane ciò che sta dietro» (157).
La considerazione di Dio consiste meno nello sviscerare la sua essenza e più nel conoscerlo come distinto da tutte le cose. Tale conoscenza rimane essenzialmente imperfetta perché non definisce Dio in sé, quanto le cose rispetto a lui. La dottrina di Tommaso si basa sulla dottrina dell’analogia entis. Dio dà tutte le perfezioni alle cose, motivo per cui vi è allo stesso tempo similitudini accompagnate necessariamente da maggiori dissimilitudini.
I nomi che esprimono le qualità comuni tra Creatore e creatura non possono essere usati allo stesso modo, ma solo analogicamente. Si applicano a Dio con la negazione (per esempio: in-finito) o mediante la relazione delle altre cose a lui (per esempio: Sommo Bene).
Oltre al registro metafisico, l’Aquinate si apre alla prospettiva della Teologia Mistica dello Pseudo-Areopagita, il quale afferma: «L’uomo, secondo ciò che è migliore della sua conoscenza si unisce a Dio come totalmente sconosciuto, perché non conosce niente di lui, conoscendo che egli sta al di sopra di ogni mente». Tommaso precisa che la causa prima è superiore alla narrazione e che «ciò che affermiamo su Dio non conviene a lui secondo ciò che viene significato da noi» e dona di nuovo ragione all’autore della De coelesti hierarchia che afferma che se «le negazioni sono vere nelle cose divine, le affermazioni sono inconsistenti o inconvenienti». Il principio affermato prima è qui ribadito, ovvero che Dio, causa prima, non si conosce per se stesso, ma per i suoi effetti anche se non sufficientemente.


Il linguaggio di Tommaso, metafisico e di ascendente aristotelico, diventa più appassionato e agostiniano nei commentari, ma già nella seconda parte della Summa. J.A. Weisheipl scrive: «Senza lavorare troppo di fantasia, dobbiamo rivelare che nel secondo periodo parigino Tommaso subì un’imprevista trasformazione nel proprio modo di vedere le cose: un’esperienza interiore profonda e personale influì sui suoi scritti. Se ne sono accorti molti studiosi moderni nell’esaminare alcune dottrine particolari… la prima parte [della Summa Theologiae] è rigorosamente metafisica, precisa e concisa, anche quando tratta il problema dell’uomo e della provvidenza divina; la seconda, invece, dall’inizio della I-II in avanti è profondamente umana, analitica, complessa… Tommaso fu indotto a mitigare l’intellettualismo eccessivo che aveva in precedenza dimostrato».

Il cambiamento di Tommaso è una storia nella storia della teologia. Quella storia di cui siamo eredi e co-autori nelle nostre trasformazioni, comprensioni dell’Assoluto e autocomprensioni al suo cospetto… Infondo, la teologia è una scienza che si acquisisce patiens divina.