La sacramentalità del matrimonio
«Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d’ora innanzi è il matrimonio che sostiene il vostro amore». Queste parole del teologo protestante Dietrich Bonheoffer sono un’espressione eloquente del senso del sacramento nella teologia cattolica. Nel sì nuziale, l’amore tra uomo e donna diventa un sì più grande e si apre a un sì più grande. Il sì nuziale è consegnare l’amore creato all’Amore creatore, fidarsi, affidarsi e fondarsi in Lui.
Il gesuita Bert Daelemans commenta l’affermazione di Bonhoeffer così: «Il nostro amore possiede una sorgente, un principio e un fondamento comune a cui la fede dà un nome. Se la vita matrimoniale trascura questo principio, cresce il pericolo che il progetto comune vada in pezzi alla prima difficoltà. Se il progetto comune ha solo l’amore come base, non è difficile immaginare che cosa facciano gli sposi “quando non c’è più amore”. E quando ciò avviene, occorre tornare al sostegno e alla fonte dell’amore, che è proprio la sua sacramentalità. La sacramentalità del matrimonio si comprende più nella chiave biblica dell’alleanza e della grazia che in quella giuridica del contratto. E nell’ordine dell’alleanza, le parole pronunciate davanti alla comunità non sono solo informative, bensì performative ovvero «segno di un’accettazione che crea una realtà».
La Gaudium et Spes spiega che, nel sacramento delle nozze, i coniugi sono «cooperatori dell’amore di Dio creatore e quasi suoi interpreti» nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla (cf. Gs 50). E la fecondità nuziale non si limita alla generazione fisica della prole, ma è espressa anche nel mutuo e reciproco amore degli sposi che, se autentico, non manca a irradiare anche verso altri.
Il «sacramento dell’amore», come piace a san Giovanni Crisostomo chiamare il sacramento nuziale, costituisce «la più piccola vera chiesa singola» in cui «nel suo attivo realizzarsi appare in un vero senso l’insieme della chiesa nella sua totalità» (Karl Rahner). La famiglia esprime il suo ruolo fondante e fondamentale non solo all’interno della Chiesa, ma anche nella società. A ragione dice papa Francesco (nell’udienza del 30 settembre 2015): «La famiglia, cioè l’alleanza feconda tra l’uomo e la donna, è la risposta alla grande sfida del nostro mondo, che è una sfida duplice: la frammentazione e la massificazione, due estremi che convivono e si sostengono a vicenda, e insieme sostengono il modello economico consumistico. La famiglia è la risposta perché è la cellula di una società che equilibra la dimensione personale e quella comunitaria, e che nello stesso tempo può essere il modello di una gestione sostenibile dei beni e delle risorse del creato. La famiglia è il soggetto protagonista di un’ecologia integrale, perché è il soggetto sociale primario, che contiene al proprio interno i due principi-base della civiltà umana sulla terra: il principio di comunione e il principio di fecondità. L’umanesimo biblico ci presenta questa icona: la coppia umana, unita e feconda, posta da Dio nel giardino del mondo, per coltivarlo e custodirlo».

La famiglia, ospedale da campo
A questo grande mistero e in vista dell’imminente sinodo straordinario sulla famiglia 2015, alcuni gli autori della Civiltà Cattolica hanno dedicato un volume, curato da Antonio Spadaro, al matrimonio. Il volume, uscito per i tipi della Queriniana sotto il titolo La famiglia ospedale da campo. Il volume si presenta – e lo suggerisce il sottotitolo – come un Dibattito biblico, teologico e pastorale sul matrimonio nei contributi degli scrittori de La Civiltà Cattolica.
La prima parte biblica manifesta in tre contributi la centralità del tema nuziale nella riflessione e nella sintassi scritturistica. Il tema della famiglia non è trattato nell’astratto di una considerazione o nell’idealismo di una proposizione, ma nella concretezza del dipanarsi della famiglia in tante sfaccettature felice e infelici. «Gli scritti biblici sanno intrecciare il canto lieto degli incontri nuziali amorosi, l’attesa felice o disperata della nascita, le grida strazianti degli stupri commessi dai guerrieri e le critiche delle intenzioni riuscite dei godimenti violenti dei potenti. La sessualità resta enigmatica, e non può essere qualificata eticamente se non da ciò che realizza nel corpo individuale e nel corpo sociale».
Una delle buone notizie scritturistiche sulla famiglia è che questa non è idealizzata o idolatrata. La famiglia non è un fine ultimo, ma «un mezzo al servizio della santificazione di ciascuno dei suoi membri. Ciò che è primo è la fede». Questo paradosso si manifesta nell’insegnamento stesso di Gesù che da un lato relativizza i legami di sangue e dall’altro lato sottolinea l’indissolubilità del legame nuziale. La famiglia, d’altro canto, non si riduce all’ideale romantico dell’io-tu ma diventa luogo di accoglienza di un noi più grande, diventa la cellula fondamentale della comunità e il luogo di educazione e di generazione del futuro.
La seconda parte teologica si concentra su diversi aspetti teologici riguardanti la famiglia come la sacramentalità del matrimonio e sulla riscoperta della struttura nuziale di tutto il mistero cristiano. La riflessione non permane nei meandri teorici della teologia ma affronta storicamente, teologicamente e pastoralmente tematiche scottanti come le seconde nozze nella storia della Chiesa e mette in luce l’esigenza di una «necessaria risintonizzazione tra pastorale e dottrina». Il matrimonio è un «sacramento di frontiera che comporta varie questioni intricate e conseguenze vitali.
Un particolare rilievo in questa seconda parte è occupato dall’interessante articolo storico di Giancarlo Pani Matrimonio e “seconde nozze” al concilio di Trento di cui parleremo brevemente nell’ultimo paragrafo di questo articolo.
La terza parte si concentra sulle questioni canoniche dedicando in particolare alcune pagine a uno dei temi che, molto probabilmente, sarà tra i più attesi e delicati del prossimo sinodo: quello dei divorziati risposati. L’autore, Ottavio de Bertolis, osserva che su questo tema i divorziati risposati, pur non essendo scomunicati nel senso canonico del termine, la loro condizione concreta patisce molto di aspetti che somigliano molto a una scomunica data la grave sanzione di non poter accedere al sacramento della penitenza e di non poter ricevere l’eucaristia. L’autore si interroga se il diritto canonico può accontentarsi di cristallizzare il momento del fallimento delle nozze come una gabbia da cui non si può uscire.

Le secondo nozze e Trento
Ma torniamo all’interessantissimo tema storico del decreto detto Tametsi del Concilio tridentino. Il decreto – spiega Pani – vieta i matrimoni clandestini, sancisce la libertà di consenso, l’unità e l’indissolubilità del vincolo, la celebrazione del sacramento alla presenza del sacerdote e dei testimoni e impone infine la trascrizione dell’atto di nozze nei registri parrocchiali. Ora questo stesso decreto che afferma chiaramente l’indissolubilità del matrimonio contiene una licenza per le nuove nozze per i cattolici della tradizione orientale.
L’articolo di Pani rintraccia la storia della suddetta licenza di cui esponiamo qui brevemente alcuni momenti salienti. Il tema si introduce al dibattito a causa della richiesta degli ambasciatori veneziani orientali i quali chiedono ai padri conciliari di tener conto nel decreto delle loro antiche consuetudini per le quali, in caso di adulterio, permettevano di sciogliere il matrimonio e di risposarsi (fornicariam uxorem dimittere et aliam ducere). Per le seconde nozze, i veneziani disponevano di un antichissimo rito che attesta una consuetudine antica mai condannata o anatemizzata da nessun concilio ecumenico benché tale rito sia stato sempre ben noto alla chiesa cattolica romana (Romanae et catholicae ecclesiae notissimus).
La richiesta suscita un vivo dibattito e riporta sul tavolo della discussione prassi antiche della Chiesa che si fondano su nomi che sono pilastri nella prassi ecclesiale tra cui Ambrogio, Agostino, Gregorio di Nazianzo, Basilio, Cirillo d’Alessandria ecc. Pani riassume così la posizione orientale: «In Oriente, in linea di principio, le seconde nozze sono concesse dal vescovo solo al coniuge che non è responsabile del fallimento del matrimonio, dopo un processo canonico o civile e un lasso di tempo di almeno un anno. Va detto che il rito per le seconde e terze nozze è più un rito penitenziale che una benedizione, ma consente in seguito di ricevere l’eucaristia. Occorre ricordare che la chiesa ortodossa è sempre stata severissima nei confronti delle quarte nozze. La condanna si basa su un’omelia di san Gregorio di Nazianzo, che dichiara lecite le prime nozze, tollerate le seconde, illegali le terze, “costume da porci” le altre» (cf. PG 36,292). Questa prassi antica è rimasta nella Chiesa ortodossa che riconosce che il cristiano può fallire anche nel suo matrimonio e che può passare a una nuova unione. È un peccato, ma come ogni peccato non è escluso dalla misericordia di Dio. La chiesa allora applica la condiscendenza misericordiosa Dio nella sua cura pastorale attraverso una prassi nota sotto il nome di oikonomía. Tale prassi va incontro a matrimoni irremediabilmente irrecuperabili.

Tornando a Trento – e alle testimonianze patristiche che non possono essere scomunicate! – i padri conciliari hanno offerto una nuova formulazione del canone sull’indissolubilità delle nozze che include l’eccezione orientale basata anche su Mt 19,9 che contiene la cosiddetta «eccezione» o «precisazione limitativa» qualora ci sia un caso di pornéia.