Tutti gli uomini desiderano essere felici. Non ci vuole l’autorità di sant’Agostino per essere d’accordo su ciò. Ne abbiamo la conferma inconfutabile nel nostro stesso essere. Il grande scrutatore dell’animo umano faceva notare che se chiedi a due giovani se vogliono essere soldati, uno forse ti dirà sì, l’altro no. Ma se chiedi a chiunque se vuole essere felice, la risposta è sicuramente affermativa.
La felicità è l’attesa di ogni cuore, ma è una dimensione fragile che a volte ci sembra essere solo un miraggio. Ciò nonostante non possiamo rinunciare al desiderio di essere felici. Sempre Agostino ci insegna che la felicità deve avere due attributi: deve essere reale (non costruita su un’illusione) ed eterna. Su questo punto si trova in accordo con Nietzsche che afferma: «Ogni piacere vuol eternità, profonda, profonda eternità». Come può rendere felice ciò che è sfuggevole?
Nel suo libro I sette pilastri della felicità, l’abate primate dell’ordine di san Benedetto, Notker Wolf, tenta un’esplorazione dialogale della felicità da una prospettiva particolare. L’abate Wolf è convinto che la felicità non è (solo) un premio, ma è un’impresa. La mette in un’immagine espressiva: «Alla felicità non si arriva in ascensore, è necessario fare le scale» (25). Per essere felici bisogna darsi da fare. I troppi pensieri danno alla testa se non sono realizzati e messi in atto.
La felicità, d’altronde, è al cuore dell’esperienza biblica e benedettina. San Benedetto era convinto che più si avanza nella vita spirituale, più la felicità diventa tangibile: «Man mano che si avanza nella vita monastica e nella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato dall’indicibile felicità dell’amore».
La via della felicità secondo la tradizione cristiana è inseparabile dal buon vivere, dalla vita delle virtù. È per questo che il libro dell’A. trova nel versetto del Salmo 34 - «Vuol vedere giorni felici? Sta’ lontano dal male e fa’ il bene» - il suo trampolino di lancio. Il versetto, citato anche da san Benedetto, mette in stretta connessione il ben-essere e il ben-vivere per così dire. Vi è una stretta connessione tra felicità e atteggiamento etico e vivere le virtù. A partire da questo nesso essenziale, l’autore sviluppa una riflessione su sette pilastri della felicità che sono le virtù cardinali e le virtù teologali.

In un linguaggio molto semplice e colloquiale, l’A. narra – senza pretesa sistematica – la configurazione delle virtù come vie efficaci per essere felici. La convinzione che sottende le pagine è che «le virtù rappresentano ancora oggi la valida risposta da parte di una grande tradizione alla questione di come si può arrivare a una vita soddisfatta e buona».

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