«È più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere». La sentenza del gesuita cileno Alberto Hurtado, morto in profumo di santità, riporta alla mente un detto lampante: «Con quel che sai insegni, con quel che sei incidi». Niente da fare: la “lezione” della vita, dell’esser-ci, della nostra testimonianza (non a caso divenuta una categoria chiave nella Teologia Fondamentale contemporanea) è molto più eloquente di tutte le lezioni che possiamo impartire. È con la vita che si apre una breccia tra le esistenze incomunicabili con le mere parole. Solo così segniamo (analogia calcistica!) dentro, in-segniamo, appunto.
Ricordando gli anni di studio teologico, Carlo Maria Martini confidava con la sua nota schiettezza: «La teologia istituzionale, insegnata da docenti validissimi, non mi ha dato molto. Mi ricordo di più di quei maestri che mi hanno aiutato a formarmi un giudizio critico sulle cose, sulle comunicazioni, sugli scritti, sui documenti, sulle testimonianze; che mi hanno aiutato a pormi di fronte ad ogni notizia dicendo: qual è il fondamento? Quali le fonti, l’origine di questa notizia? Che cosa c’è di vero qui e che cosa non c’è di vero? Questa abitudine è importante per tutta la vita, e dobbiamo ringraziare Dio se ci sono dati docenti che insegnano così».
È difficile non vedere il Martini tra questi maestri! Chi non l’ha conosciuto di persona ha avuto comunque il grande dono di poterlo incontrare nei suoi numerosissimi scritti (e/o trascrizioni). Martini ha da dire e da dare anche a chi non ha una gran dimestichezza con il materiale biblico/religioso/cattolico. È stato un uomo che, non solo ha frequentato assiduamente la Parola, ma che si è lasciato contagiare dall’incisività e dalla “vicinanza” di questa Parola. I suoi testi non si limitano a citare la Bibbia, essi sono impregnati dal suo pathos, dal suo afflato.
La bella biografia scritta da Enrico Impalà, Vita del Cardinal Martini. Il bosco e il mendicante permette uno sguardo panoramico, sintetico ma intenso, sulla vita di uno dei grandi maestri spirituali della seconda metà del ventesimo secolo. Il volume, in meno di 300 pagine, riesce felicemente a far confluire elementi biografici, squarci bibliografici e testimonianze personali sulla vita di un uomo che ha raggiunto tante persone, ha irradiato il il sapore della Parola e il sapere della fede, ed educato a una elevata statura cristiana. Un maestro che ha insegnato, segnando, perché è stato per primo in-segnato dalla Parola di Dio.


Una presentazione non esime dalla lettura nutriente di quest’opera ricca. Vi lascio con un testo riportato all’inizio del libro e che fa capire meglio il sottotitolo dell’opera di Impalà. Sono le parole del Martini quando gli è stato conferito il premio Giuseppe Lazzati nel 2002:
«Un proverbio indiano narra di quattro stadi della vita dell’uomo. Il primo è lo stadio in cui si impara; il secondo è quello in cui si insegna o si servono gli altri; nel terzo si va nel bosco, il bosco profondo del silenzio, della riflessione, del ripensamento e credo che, allorché si aprirà per me il terzo stadio, potrò riordinare con gratitudine tutto ciò che ho ricevuto, ricordare le persone che ho incontrato, gli stimoli che mi sono stati dati e che in questi ventidue anni non sono riuscito a elaborare (nel bosco, passeggiando tra gli alberi, si rimettono in ordine le memorie).
«Nel quarto stadio, particolarmente significativo per la mistica e l’ascetica indù, si impara a mendicare; l’andare a mendicare è il sommo della vita ascetica, e mi dicono che anche oggi persone ricche, che hanno fatto una grande fortuna nella vita, a un certo punto vanno a mendicare, in quanto il mendicante rappresenta lo stadio più alto dell’esistenza umana.
«Mendicare significa dipendere dagli altri ‘ ciò che non vorremmo avvenisse mai –, e dobbiamo prepararci. Il tempo del bosco ci prepara, prepara il momento che può avvenire oggi, domani o dopodomani, secondo la volontà del Signore.
«Naturalmente, l’ho detto altre volte, se mi sarà possibile vivrò questi stadi almeno in parte a Gerusalemme, - lo stadio del bosco e della mendicità – e sarà come un’ulteriore grazia di Dio, che si aggiunge e corona tutte le altre.
«Vi invito a pregare per Gerusalemme, a ricordarvi di Gerusalemme, a non dimenticarvi di quella città che è il simbolo di tutto l’umano e nella quale, se ci sarà pace, si farà pace ovunque».