Mi capita a volte di trovarmi giudicato da alcune persone quando esprimo un mio giudizio su qualche situazione… lo so, sono contraddittori, ma per ora prendiamo la loro obiezione per buona. Si rifanno, infatti, subito alle parole del Signore: «Non giudicate, per non essere giudicati». Ma è proprio vero che il Signore ci chiama a non esprimere giudizio? A non avere una visione? A non discernere i fatti?
Dato che è un problema che non affronto soltanto io, ma che mi è stato sottoposto in varie salse, e per rimanere nel formato di #rispostalvolo [col senno di poi, la risposta non è poi così breve...], formulo la domanda così: è sbagliato giudicare?


PERCHÉ GESÙ DICE: «NON GIUDICATE»?

La prima cosa che bisognerebbe fare quando si cita un testo biblico (e non lo si vuol citare “alla diavola”) è capire il contesto e l’intento dell’affermazione. Il versetto sbandierato, infatti, si trova in due testi sinottici (Mt 7,1; Lc 6,37). A parte alcune leggere differenze tra i due testi, i contesti sono uguali. In Matteo Gesù affermo dopo: «Con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi». In Luca vengono espresse sfumature sinonimiche ed esplicative: «non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati». Ma entrambi i testi chiariscono la falla nel giudizio di chi predica bene agli altri, ma non ascolta e non mette in pratica le proprie esortazioni: «Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: «Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio», mentre nel tuo occhio c'è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello» (Mt 7,3-5; Lc 6,41-42).
Viene a galla allora un primo problema: Gesù se la prende con chi è iniquo e soggettivo nel giudicare, con chi pratica la giustizia come la dipingeva Kierkegaard: soggettivo (e misericordioso) con se stesso, oggettivo (e giustiziere) con gli altri. E già Paolo rimproverava così: «Perciò chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l'altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose. Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio?» (Rm 2,1-3).
Il secondo problema si evince soprattutto dalla contestualizzazione lucana: la giustizia secondo Cristo non può essere senza misericordia. Il versetto in Luca, infatti, è preceduto da quest’esortazione: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Giacomo, nella sua lettera, ci ricorda che «il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio» (Gc 2,13). Per cui siamo chiamati ad esercitare la giustizia secondo Dio. Qui il discorso sarebbe lunghissimo e non possiamo allargarci, ma sappiamo che il giudizio di Dio è per portare salvezza e non per portare condanna e morte. Dio fa verità nella carità.


AVERE GIUDIZIO

Questa contestualizzazione a cosa ci porta? Ci porta a capire che non bisogna essere ipocriti, ingiusti o giustizieri (condannare definitivamente senza appello e senza possibilità di riconciliazione e di usare misericordia), ma questo non significa non avere giudizio, discernimento o una lettura chiara sulle realtà, gli eventi, gli atti delle persone. Bisogna, in altri termini, distinguere tra giudicare (condannare) e avere giudizio (discernere) e chiamare le cose col loro nome. Il discernimento è un immenso dono spirituale. È un dono fondamentale secondo i padri del deserto. Per sant’Antonio Abate, ad esempio, la mancanza del discernimento è alla base del crollo di alcune vite spirituali molto promettenti. Per cui siamo chiamati ad avere giudizio sia su noi stessi sia sugli atti degli altri.
A proposito di giudizio-discernimento, in tante occasioni Gesù lamenta la mancanza di capacità di giudizio, di vederci chiaro, di chiamare le cose col loro nome nelle persone. Chiedeva ai suoi interlocutori: «perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,57). Così riguardo al discernimento dei tempi e dei segni dei tempi, Gesù rimprovera l’incapacità di lettura e giudizio spirituale: «Quando si fa sera, voi dite: “Bel tempo, perché il cielo rosseggia”; e al mattino: “Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo”. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi? Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona» (Mt 16,2-4).
È giusto notare che qui Gesù sta parlando del discernimento più sublime: quello dell’avvento del Regno. Ma anche se si cambia l’oggetto del discernimento, il principio rimane valido. Bisogna saper chiamare le cose con il loro nome. È uno dei primi poteri che Dio dà all’uomo sin dal libro della Genesi!
Per cui, chiamare l’errore con il suo nome, dire pane al pane e pesce al pesce, fa parte della capacità di discernimento. Anzi, se non chiamiamo le cose per nome ci esponiamo alle parole pesanti del Signore al profeta Ezechiele… parole che chi conosce del vangelo sono il versetto di Mt 7,1 è bene che le aggiunga al suo ricco bagaglio biblico: «O figlio dell'uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato» (Ez 33,7-9). Isaia a sua volta ammonisce: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre (Is 5,20).
Abbiamo il dovere della correzione, della denuncia del male, soprattutto quando viene fatto nelle sembianze di bene o con sfumature di angelo di luce… In una parola abbiamo il dovere del coraggio del giudizio!! Se prima si notava che Dio fa verità nella carità, bisogna aggiungere l’aspetto complementare: esercitare la carità nella verità. Sono due aspetti inscindibili. La carità senza verità è una presa in giro, è un atto egoistico che abbuona l’altro senza aiutarlo a diventare realmente buono.


«L’UOMO SPIRITUALE GIUDICA OGNI COSA»

Gesù dice che i suoi apostoli giudicheranno il mondo: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele» (Mt 19,28). Si parla certo del giudizio escatologico, ma Paolo considera la capacità di giudizio come qualità nel hic et nunc dell’uomo spirituale: «L'uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno» (1Cor 2,15). Questo giudizio non deve essere giudizio di condanna delle persone, ma degli atti sì. Il giudizio escatologico è del Signore: «Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà» (1Cor 4,5), ma il giudizio per aiutarsi e aiutare gli altri a distinguere il bene dal male, la destra dalla sinistra spetta a noi oggi. Lo stesso Paolo, nella medesima lettera afferma: «Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se siete voi a giudicare il mondo, siete forse indegni di giudizi di minore importanza?» (1Cor 6,2). Aggiunge poi: «Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita!» (1Cor 6,3).
Il Signore dona ai suoi discepoli l’intelligenza spirituale che è capace di discernimento. Convertendoci, seguendo il maestro smettiamo di essere niniviti (mi riferisco al libro di Giona) che non sanno distinguere la destra dalla sinistra (Gn 4,11) e veniamo «potentemente rafforzati nell'uomo interiore mediante il suo Spirito». Mediante la dimora di per mezzo della fede nei nostri cuori, acquisiamo una conoscenza prospettica più completa e diventiamo «in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità». Conoscendo l’amore di Cristo acquisiamo la vera conoscenza che supera ogni conoscenza e siamo ricolmi di tutta la pienezza di Dio (cf. Ef 3,16-19). Anzi, più esercitiamo la capacità di distinguere bene e male, più siamo rafforzati nel discernimento e siamo depositari di una bellissima promessa: «Se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca» (Ger 15,19). Sì, diventiamo, «in nome di Cristo… ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta» (2Cor 5,20).
È audace, è folle, ma sono le promesse di Dio che non vengono dalla nostra bravura, ma dalla potenza della Parola di Dio che ci modella e ci trasforma. «Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).
Accogliamo l’invito di Paolo a non conformarci a questo mondo, ma a lasciarci trasformare rinnovando il nostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cf. Rm 12,2) e annunciarla, ammonendo, rimproverando, esortando con ogni magnanimità e dottrina in tempo opportuno e inopportuno (cf. 2Tm 4,2).

Chiediamo al Signore di donarci discernimento, capacità di giudizio e di discernimento. L’episodio di Salomone ci insegna che è una delle richieste più gradite al Signore: «Concedi al tuo servo un cuore docile, perché … sappia distinguere il bene dal male» (cf. 1Re 3,9).

GIUDICA IL PECCATO, AMA IL FRATELLO

Il mondo giudica, giudica spesso per condannare. Il cristiano, se giudica, giudica per fare luce, per dare vita, sui passi di Cristo. Denuncia gli scandali per proteggere i piccoli. A ragione scriveva Reginald Garigou Lagrange O.P.: «La Chiesa è intransigente sui principi, perché crede, ma è tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui principi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano." (R. Garrigou-Lagrange)
Per chiudere, vorrei offrire una distinzione che sviluppo sulla scia di Agostino nell’opuscolo «Rahamim.Nelle viscere di Dio. Briciole di una teologia della misericordia:


Sulla posizione da prendere verso il peccato e verso il peccatore, Agostino ci offre una distinzione cruciale: «Quando giudichi, ama la persona, odia il vizio. Non amare il vizio per l’amore che devi all’uomo; non odiare l’uomo a motivo dei suoi vizi. L’uomo è tuo prossimo, il vizio è un nemico del tuo prossimo. Amerai veramente l’amico solo se e quando odierai ciò che all’amico nuoce». In un discorso successivo, invita l’uomo ad essere simile a un medico che ama il malato odiando la malattia e accanendosi contro di essa. «Non amate i vizi dei vostri amici, se amate gli amici stessi». È questo l’equilibrio della giustizia divina: Dio odia il male, l’ingiustizia e il peccato, ma ama l’uomo, lo ama follemente e desidera salvarlo. La misericordia è il volto più splendente della giustizia di Dio. Agostino prega il Signore ricco di misericordia così: «Le tue misericordie sono molte, o Signore. In realtà anche il poter ricercare le vie della tua giustizia rientra nell’ambito della tua multiforme misericordia. Secondo il tuo giudizio rimettimi in vita. So infatti che nemmeno il tuo giudizio m’incoglierà senza che l’accompagni la tua misericordia». 
(R. Cheaib, Rahamim. Nelle Viscere di Dio. Briciole di una teologia della misericordia, Tau Editrice, Todi (PG) 2015, 56).






Photo: Flickr CC  nc-nd-by Jack