La riflessione di oggi non ha bisogno nemmeno di un'introduzione. Sia perché è chiara sia perché è così diffuso il far dipendere il giudizio sulla propria vita spirituale da come ci sentiamo. Buona novena.
L'estratto di oggi è dal capitolo "Via del cuore" di Scorciatoie verso Dio.

Per pensare

In un sermone parrocchiale del 1831, un Newman appena trentenne denuncia la caccia all’emozione nella vita religiosa che non si traduce in obbedienza a Dio nella vita concreta. «Che le persone confondano le emozioni passeggere, o i meri pensieri buoni, per obbedienza, è un inganno molto più diffuso di quanto possa sembrare a primo acchito». Tale inganno è subito anche da persone importanti nella storia biblica. Tra i vari esempi che presenta, Newman parla di san Pietro, il quale nonostante il suo zelo veemente per il Signore, quando i tempi si fanno duri lo tradisce. Il cambio rapido delle emozioni è un fenomeno molto diffuso tanto che un’intera folla che ammira e loda Gesù cambia in poco tempo in bestemmiatrice. Per questo, Newman pensa che sia necessario «avvertire le persone contro le emozioni impetuose in religione, nella stessa misura in cui le si urge a donare i propri cuori ad essa».
Quest’ultima frase è importante e interessante perché mostra che Newman fa una distinzione tra emozioni e cuore. La fede non è questione di emozioni, ma non per questo è questione di secca razionalità. Il cuore ha un ruolo importante, anzi, centrale nella fede. Ma cosa significa dare il proprio cuore a Dio? Come intendere quest’esortazione che attraversa la Bibbia e corona il più grande comandamento: «Amerai il Signore con tutto il tuo cuore…»?
Nello stesso sermone, Newman ci risponde così: «Lo stato perfetto a cui dobbiamo puntare, e che lo Spirito Santo impartisce, è una preferenza deliberata del servizio di Dio a qualsiasi altra cosa, una determinata risoluzione di abbandonare tutto per Lui; e un amore verso di Lui, non tumultuoso e appassionato, ma un tale amore come quello che un bambino porta verso il suo genitore, un amore calmo, pieno, riverente, contemplativo e obbediente». Vi è una regola generale nella vita spirituale: «Quanto più la persona diventa religiosa, tanto più diventa calma; e in ogni tempo, il principio religioso, visto in se stesso, è calmo, sobrio e deliberato».

Le emozioni nella vita religiosa sono «a volte naturali, a volte convenienti, ma non sono la religione in sé. Esse vengono e vanno» e perdono il loro posto man mano che la nostra obbedienza verso Dio diventa più stabile. Il distintivo della persona spirituale matura è «la pace perfetta» di una mente radicata in Dio.

Per interrogarsi

Tante volte leghiamo il nostro progredire e il nostro regredire nella vita spirituale al nostro stato emotivo, a come ci sentiamo. I maestri della vita interiore, invece, ci insegnano che il criterio è l'obbedienza, è l'adesione alla volontà del Signore. La domanda di oggi, allora, è semplicemente questa: quanto faccio dipendere la mia vita con il Signore da come mi sento?

Per pregare

Fa’ che ti annunci senza predicare, non con le parole ma con l’esempio, con la forza che trascina, con l’influenza simpatizzante di ciò che faccio, con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi e l’evidente pienezza d’amore che il mio cuore nutre per te. 


Robert Cheaib
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