«Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione» (Sir 2,1), così ci esorta il Siracide invitandoci a non illuderci che il cammino spirituale sia una passeggiata. Nel cammino spirituale ci sono colline e vallate che non scegliamo. La depressione, l’accidia e la notte spirituale sono alcune di queste situazioni, come specifica Marie-Liesse Pouls nel suo libro Depressione, accidia e notte spirituale. Discernimento, rimedi e accompagnamento pubblicato presso Tau Editrice.
Non è raro incontrarsi con qualcuno che sbandiera il fatto di essere in una “notte spirituale”. È bene sapere che gran parte dei mistici che hanno effettivamente passato la notte spirituale, non le davano questo nome e non si accorgevano di essere in questa fase “privilegiata” del cammino spirituale. Un esempio lampante è Madre Teresa che non ha mai parlato della sua esperienza in questa chiave sublime.
È inoltre importante distinguere tra i tre stati sopraccennate perché sono appartenenti a ordini diversi. La depressione è un problema che colpisce la sfera psicologica. L’accidia colpisce la dimensione spirituale. La notte della fede, in fine, appartiene alla dimensione dell’esperienza mistica.
Depressione: il male del secolo
L’a. dedica a ognuno di questi fenomeni un capitolo in cui delinea la natura, le cause, i sintomi e i “rimedi”. Così, ad esempio, dopo aver presentato la questione della depressione, l’a. offre alcuni spunti per affrontare “il male del secolo”.
Elio ed Ivan Blancato spiegano che «l’unico mezzo per la guarigione è il recupero della gioia di vivere, acquisibile soltanto attraverso l’amore per se stessi e per gli altri, perché la depressione ha come causa – più che altro – la mancanza di amore e stima per se stesso».
Accidia: la noia spirituale
L’accidia – acedia – è un misto di noia e di indifferenza che costituiva il terrore dei monaci dell’antichità. Il capitolo dedicato a questa questione è a mio giudizio il migliore del presente libro. L’a. presenta la genesi di questo vizio capitale dialogando con una schiera di autori e di autorità in materia.  



L’etimologia della parola “akedía” viene dal greco – a (=senza) + kédion (=cura) – implicando uno stato totalizzante di negligenza. Come già detto, è considerata uno dei vizi capitali (viene chiamata tristezza nella tradizione occidentale).
«L’accidia si insinua facilmente in uno stile di vita che ha un ritmo regolare, monotono, senza apparente variazione, ripetitivo». Per questo, la vita monastica è tra le più esposte a questo vizio. Motivo per cui, le descrizioni più plastiche dell’accidia le troviamo nei maestri del monachesimo.
Evagrio Pontico ne parla così: «L’occhio dell’accidioso è continuamente fisso alle finestre, e nella sua mente fantastica sui visitatori: la porta cigola, e quello balza fuori; sente una voce, e spia dalla finestra, e non se ne allontana, finché non è costretto a sedersi, tutto intorpidito. Quando legge, l’accidioso sbadiglia spesso, ed è facilmente vinto dal sonno, si stropiccia gli occhi, si sfrega le mani, e, ritirando gli occhi dal libro, fissa il muro; quindi, di nuovo volgendosi al libro, legge ancora un poco, poi, piegando le pagine, le gira, conta i fogli, calcola i fascicoli, biasima la scrittura e la decorazione; infine, chinata la testa, vi pone sotto il libro, si addormenta di un sonno leggero, finché la fame non lo risveglia e lo spinge a occuparsi dei suoi bisogni. Il monaco accidioso è pigro nella preghiera e non pronuncia le parole dell’orazione; come un malato non può portare un fardello pesante, così l’accidioso non compie con sollecitudine l’opera di Dio: infatti il primo ha perso la forza del corpo, il secondo è illanguidito, privo del vigore dell’anima».
San Tommaso d’Aquino ne parla anche e la definisce come «il tedio di operare il bene e la tristezza prodotta dalle cose spirituali».
È vizio capitale perché può generare altri vizi quali la malizia, il rancore, la disperazione, il torpore, le distrazioni, ecc.
Possiamo vedere che l’accidia potrebbe anche colpire altri stati di vita, come il matrimonio. In questo riguardo, possiamo attingere ai rimedi proposti dai maestri spirituali per evitare le insidie dell’accidia:
- Siccome l’accidia è disprezzo dei beni spirituali, bisogna pensare di più ad essi. «L’accidioso – consiglia l’a. – deve scendere nel profondo di se stesso per scoprire quanto è abitato dal desiderio di Dio».
- Il rimedio monastico tradizionale è alternare in maniera sana preghiera e lavoro. Questa saggezza è condensata nell’ora et labora benedettino. Non è vero che non lavorare permette di pregare di più e meglio. La mancanza di lavoro porta alla distrazione e spesso all’accidia.
- rimanere nella propria cella. E qui – per lo stato di vita nuziale – il consiglio è quello di resistere la tentazione di scappare e di guardare fuori. Abba Arsenio consiglia così a un fratello affaticato che gli confida: «I miei pensieri mi preoccupano e mi suggeriscono: tu non puoi né digiunare né lavorare, visita alme­no i malati, perché anche questa è carità». Ma il vecchio, scorgendo le ispirazioni dei demoni, gli disse: “Va’, mangia, bevi, dormi e non lavo­rare: solo non lasciare la tua cella”. Poiché sa­peva che la resistenza nella cella mantiene il mo­naco nel suo stato».
- l’apertura del cuore al padre spirituale e l’obbedienza.
- la pazienza e la preghiera.
- perseverare.
- contemplare con stupore l’opera della creazione.

La contemplazione grata è un ottimo rimedio contro l’accidia la quale è uno stato di «a-charistia», di mancanza di graziosa gratitudine, mancanza di eucaristia.
La notte della fede
Di natura diversa è la notte e la si riconosce anche dalla modalità diversa di reazione della persona che la vive. Mentre l’accidioso scappa, chi vive nella notte della fede resiste e rimane fedele. Nonostante le difficoltà nella vita di preghiera e nel “sentire” Dio, chi è immerso nella notte continua a progredire nella vita morale e nella prassi della fede.
«Nella notte – scrive l’a. – l’anima continua a praticare le virtù in grado eroico, la sua fede è viva, la sua speranza superiore ad ogni speranza e la carità più grande di ogni misura».
Non camminare da soli

Queste fasi della vita, pur essendo diverse, possono intersecarsi e si rischia di confondere uno stato con l’altro. Per questo è necessario che il cammino spirituale si faccia con la guida saggia di un navigato padre spirituale (o madre spirituale).

Robert Cheaib
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