«Festeggiare l'Avvento significa saper attendere: attendere è un'arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato», sono parole del teologo Dietrich Bonhoeffer. Parole che aprono i nostri occhi sul senso dell’Avvento, dell’attesa, così estranei alla trasformazione antropologica a cui l’immediatezza perenne dei nuovi media ci ha sottoposti. Tutto è a portata di clic e non abbiamo più la pazienza di sopportare il “tic tac” di un orologio che ci dice che certe cose nella vita vanno attese.
Non tutto arriva subito. Anzi, il bello nella vita si fa attendere.
Forse tra le esperienze che possono rendere meglio la fecondità dell’attesa è proprio quella dell’attesa di un figlio.
Mi accompagnano in questo avvento, oltre ad alcuni testi di meditazione (come una raccolta inedita di omelie di André Louf, gli scritti di Giovanni della Croce, alcune lettere sulla preghiera di Henri Caffarel e altre letture teologiche…) mi fanno compagnia in questo avvento le pagine delicate e profonde di Maria Marzolla nel suo libro Due occhi in più. L’attesa di unfiglio. La nascita di due genitori (Tau Editrice). Pagine che fanno percepire anche a chi non può vivere una gravidanza (quindi anche a un maschio come me) cosa significhi attendere chi è già presente in sé, nel proprio desiderio e nel proprio amore.



Mi diletto e mi commuovo a pensare che anche il Figlio di Dio su questa terra è stato «due occhi in più». Ci ha sorpresi e ha sorpreso la profezia che canta – e i Padri vedono in questo canto anticipazioni profetiche dell’Incarnazione – «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». Che grande dono. Dio non dona altro che se stesso e donando se stesso dona tutto.
Guardando in parallelo l’attesa di una donna incinta e il memoriale dell’attesa del Salvatore, faccio mie le parole di Maria Marzolla, invitando il cuore a prepararsi per la “follia d’amore” che ricorderemo fra circa tre settimane: «L’attesa deve essere preparata. Ed è proprio quel periodo che la precede che la renderà meravigliosa e unica, la complicità degli sguardi tra l’uomo e la donna che creeranno l’universo nel quale crescerà il loro figlio. Ed anche le lacrime asciugate per un’attesa che tarda a giungere sono come colla per l’unione, perché da soli non è possibile far nulla così come lo stupore incredulo per un’attesa inattesa deve poi trasformarsi in quella sensazione di pienezza che si prova quando l’euforia del momento si accomoda» (p. 27).



Ho aperto e chiudo con le parole di Bonhoeffer: «Chi non conosce la beatitudine acerba dell'attendere, cioè il mancare di qualcosa nella speranza, non potrà mai gustare la benedizione intera dell'adempimento. […]Chi non conosce la necessità di lottare con le domande più profonde della vita, della sua vita e nell'attesa non tiene aperti gli occhi con desiderio finché la verità non gli si rivela, costui non può figurarsi nulla della magnificenza di questo momento in cui risplenderà la chiarezza; e chi vuole ambire all'amicizia e all'amore di altro, senza attendere che la sua anima si apra all'altra fino ad averne accesso, a costui rimarrà eternamente nascosta la profonda benedizione di una vita che si svolge tra due anime. Nel mondo dobbiamo attendere le cose più grandi, più profonde, più delicate, e questo non avviene in modo tempestoso, ma secondo la legge divina della germinazione, della crescita e dello sviluppo».

Robert Cheaib
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