Ciò che veramente affascina nelle storie sono le storie (vere) dietro le storie. Questo secondo libro di Lucia Sada, questo secondo parto di carta, nasce dalla sovrabbondanza di un secondo parto di carne. Commuove – e rimaniamo nella semantica delle viscere materne – la premura di questa giovane madre di accompagnare ogni nascita nella carne con un lógos, con una parola di senso da lasciare come memoria e promemoria al proprio figlio.

Il libro si presenta quasi come un materno sorriso che vuole svelare il desiderio di Bellezza e rivelarne qualche preciso contorno, qualche lineamento… perché la Bellezza ha un Volto. Ho visto la maternità di Lucia in uno dei paragrafi del testo, quasi volesse anticipare profeticamente un futuro in cui il figlio prenderà in mano il testo e lo leggerà dipingendone l’affettuosa atmosferma: «Se può un sorriso delicato somigliare ad un fiore, fu quello di certo tra i più belli che Sebastiano vide mai sbocciare. Lieve, timoroso, più d’ogni altra cosa riconoscente».
… come ogni vero dono, questo dono non resta esclusivo, ma acquisisce la valenza più caratteristica del bene: la diffusività (bonum diffusivum sui diceva il Dionigi Pseudo-Areopagita). Le pagine scritte per il figlio possono diventare speciali per chiunque voglia essere “Libero”. Libero, per iniziare ad accennare al racconto di Sada, mi ha fatto pensare allo starets Zosima di Dostoevskij. Tra l’altro – e scusate se lancio qualche spoiler – del noto romanzo del grande autore russo, I fratelli Karamazov, l’a. reitera nei dialoghi del presente testo la celeberrima leggenda di «il grande inquisitore».

Il breve testo di Sada è un avvincente Bildungsroman di cui il lettore potrebbe ammirare le doti letterarie dell’a.. Ma la bellezza narrativa non è altro che la porta d’ingresso verso la scoperta della Bellezza celata nei desideri di Sebastiano, una Bellezza che il lettore è chiamato ad abbracciare.
L’educazione al desiderio di cui è costellato il libro è un invito accorato a non spegnere il proprio de-siderio, a non rinunciare alle stelle per il peso del groviglio della mancanza che generano nel cuore. Quando nel nostro cuore si spegne una stella, si fa un po’ più buio e la vita perde a poco a poco quella magia che la rende degna di essere vissuta.



Rimanere aperti al desiderio salva dalla tentazione cinica della «notte eterna», quella notte in cui i sideri – le stelle – diventano raggiungibili ma spenti e non più desiderabili. Al cinico Khalid viene rivolto l’ammonimento affettuoso dell’amico Sebastiano: «… e quelle stelle, quelle ancora vive ce lo suggeriscono. Ma bisogna cercarle, trovarle, ascoltarle. Non è strappandole al loro cielo che udrai la loro voce; non parleranno mai dal palmo della tua mano per quanto tu possa avvicinarle al tuo orecchio!».
Sostenere la tensione del desiderio è aprirsi alla grandezza degli interrogativi della vita, alla domanda di senso. Domanda che, come tutti i quesiti seri della vita, non aspetta una risposta di testa, bensì di carne, di vita.
La prospettiva di senso passa per la croce, passa per l’Amore crocifisso che ci dice che la nostra vita (e quindi i nostri desideri) valgono la pena, anzi, che valgono la Vita stessa di Dio. È lui che l’ha voluto… e a che prezzo! La croce è la porta d’ingresso della luce dopo che i nostri sogni si sono estinti come stelle cadenti. La passione del Dio-umano crocifisso illumina i nostri dolori e le nostre ferite con l’infinito Amore rivelatosi obbediente «fino alla morte e alla morte di croce».
Niente, guardando la croce, resta escluso dall’orizzonte di senso. Con la variante della croce, i valori nella nostra vita acquisiscono una carica positiva incancellabile. L’a. offre un’analogia statistica – ed è qui che si dispiega il senso del titolo del libro – spiegando che «il risultato incerto, quello che può sconfinare anche in un valore negativo, siamo noi amico mio! Lui rimane la probabilità certamente positiva; non scordarlo mai. È nostra la scelta […] non c’è una probabilità più bella, buona e giusta di quella della fede amico mio».


Sebastiano e Khalid sono due possibilità, due opzioni per vivere la parabola del desiderio. Il lettore è posto di continuo dinanzi alla domanda, dinanzi alla “probabilità”: Cosa desideri? Le stelle cadenti? O la rotta permanente? Crearti un artificiale e artificioso senso di stoffa? O accogliere attivamente il Senso donato?
Rivelo in chiusura due delle tante chicche orientative che trapelano dal testo. Chicche che sanno di maternità e di maieutica: «[…] stringere nel palmo le tue stelle di pezza non le renderà mai davvero tue. Rinnega la loro essenza e rinnegherai la tua. Ergitene superbamente a creatore e ne diverrai il primo distruttore!».

«Dovremmo diversamente desiderare ciò che resta. Ciò che profuma d’eterno, come l’Amore».

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