«L’inizio contiene tutto. Se tradisci l’inizio, tradisci il tutto. Se il tutto gira male, è perché stai fuori dalla mappa dell’inizio. Se vuoi ricominciare devi tornare all’inizio, e troverai quello che è vitale per te. E in realtà troverai qualcun Altro. Perché nessuno si inizia da sé. L’inizio è un dono di qualcuno» (19-20). Queste poche battute tratte dalle prime pagine del nuovo libro di don Fabio Rosini, L’arte di ricominciare. I sei giorni della creazione e l’inizio del discernimento, edito dalla San Paolo, sono una specie di “tutto nel frammento” perché con un colpo d’occhio ci spiegano il titolo e manifestano anche lo stile colloquiale del libro in questione.
Il libro presenta un percorso di conversione/riconversione declinato in chiave di discernimento alla luce dell’hexameron in una lettura spirituale ed esistenziale imbevuta della lunga esperienza dell’A. che si fa portavoce di tanti volti che ha incontrato offrendo alcuni pilastri concreti per l’avviamento (o il riavvio) di un percorso spirituale concreto.
Le prime pagine del libro di Genesi sono un valido aiuto e una miniera di intuizioni per chi vuole ricominciare perché il testo stesso è «sgorgato da un popolo che stava provando a ricominciare, che avendo sbagliato troppo finalmente provava a dire ai suoi figli come ripartire». Così quella parola non si presenta più tanto come parola sull’inizio, quanto sull’iniziazione. D’altronde, la parola di Dio non è lì solo per istruirci su fatti passati, ma per cambiare il nostro presente. «La Parola di Dio cerca un coniuge: la mia esistenza» (25).
Quanto al discernimento, il libro chiarisce che non si tratta – come spesso si semplifica – una questione di sapere se farsi prete, suora, frate o sposarsi… ma è l’iniziazione al fiuto del Padre nella propria vita.
Accennerò in questa presentazione alla riflessione sul “primo giorno”, lasciando al lettore l’esplorazione dei doni degli altri giorni che mi limito a elencare brevemente.
Il dono delle prime evidenze
L’inizio di questo fiuto comincia con «il dono delle prime evidenze» che consiste in «accogliere le situazioni, assecondare le venature delle cose, valorizzare il verso della vita. Non remargli contro, ideologicamente» (37). In altre parole, più “suggestive” si tratta di «deglutire il reale. Accoglierlo» (47).
Il primo fatto da accogliere è che «non cominciamo risolti. Non partiamo già a posto. Salpiamo da poveri. Decolliamo con assetto storto».


Il discernimento è non solo saper riconoscere il bene dal male, ma è capire che male è non fare il bene riconosciuto. «L’opera in cui il nemico della natura umana – come lo chiama sant’Ignazio di Loyola – è più pertinace, non è quella di farci fare il male. Chi la pensa così è all’età della pietra spirituale. La sua opera fondamentale è non farci fare il bene. Che è diverso assai. […]. Per cui, anche con cose innocue o magari eticamente lodevoli, l’importante è: farci perdere tempo».
Per cui discernimento – o pre-discernimento se si vuole seguire il ragionamento dell’A. – è la necessità di riconoscere l’evidenza: «La prima cosa da dire a tante persone è: il giorno è il giorno e la notte è la notte».
Tra le prime evidenze che l’A. evidenzia abbiamo: il corpo, lo spazio, il tempo, i doveri di stato…
Gli altri doni
Gli altri doni a cui l’autore accenna nell’apprendistato dell’arte del discernimento sono:
- il dono delle priorità: tener conto delle cose importanti, poi a scalare, delle cose secondarie. Alle priorità si oppongono le emergenze. «Le priorità sono prima dei fatti, mentre le emergenze mi arrivano addosso durante i fatti […] Le emergenze sono ansiose, dittatoriali, disordinanti, apprensive. Chi sceglie per paura sbaglia sempre. Si dice: l’ansia è cattiva consigliera. Vero. Le priorità sono pacate, sono firmamento, sono punti fermi limpidi» (90-91). Va specificato che le priorità non si scelgono, si accolgono, si ammettono. Sono un firmamento donato da Dio nella vita di ognuno. «Le persone che non disattendono le proprie priorità arrivano a fare pure le cose secondarie; chi invece parte dalle cose secondarie, in genere, fa male le secondarie e le primarie non le fa di certo» (105).
- il dono dei limiti: i limiti non solo limitazioni, senza limiti c’è disordine, c’è mancanza di identità. Senza confini non conosciamo chi siamo: «Se non delimito non ho un’identità, non sono una persona, sono un crocevia stressante» (109). Così, educando i figli, se non gli si dice di no, non li si accontenta, ma si crescono degli scontenti, degli infelici. «E la cosa più drammatica è che se rifiutiamo i limiti rifiutiamo le relazioni» (115). Il rifiuto dei limiti è alla base del primo peccato, è alla base dei nostri peccati: «in fondo dietro a tutti i peccati… dietro a tutto il nostro non amore, c’è l’odio verso i nostri limiti, verso la nostra povertà, che altro non è che odio per noi stessi. Nel “sarete come Dio” del serpente, implicito, satanico, c’è il “non sarete più quella cosa infima che siete”» (127).
- il dono delle ispirazioni: si tratta di saper distinguere tra suggestioni e ispirazioni. Le suggestioni sviano, distruggono. Le ispirazioni costruiscono, realizzano. Tipico delle sane ispirazioni è il rimanere liberi e il poter dire loro di no. «Un’altra cosa tipica delle ispirazioni è che resistono nel tempo» (170). «Se il movimento delle suggestioni è ellittico, ciclico e ripetitivo, in genere centrato sul rifiuto della croce, il movimento delle ispirazioni è lineare, costruttivo, invita a crescere. In una parola: è un movimento pasquale. Va oltre» (176).
- il dono delle benedizioni: benedire è dire bene della propria vita, è «rispettare le pieghe del proprio essere» (216). È «camminare nelle proprie grazie» (225).
- Il sesto giorno, diviso in due parti, è dedicato a: il dono delle umiliazioni e il dono della gloria: alla memoria delle umiliazione che hanno raddrizzato diversi cammini che altrimenti sarebbero rimasti storti e storditi; e alla memoria di quel bene che ho in me, ricordando il quale sono più vicino a Dio che mi benedice.  


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