Emmanuel Lévinas, figura prominente della filosofia del XX secolo, si distingue per la sua capacità di intrecciare l’acuta riflessione sull’esperienza religiosa con la riflessione filosofica, mantenendo, nondimeno, l’autonomia di entrambe.
Per comprendere il pensiero di Levinas bisogna conoscere la sua personalità e i tratti portanti della sua vita da cui è fiorita la sua riflessione teologica e filosofica.
Nel suo libro Emmanuel Levinas. Un profilo e quattro temi teologici, uscito recentemente nella collana “giornale di teologia” della Queriniana, Giovanni Ferretti evidenzia due campi che riassumono le polarità della vita di Lévinas: «il campo religioso ebraico, ove è attivamente impegnato per la rinascita culturale dell’ebraismo dopo la terribile tragedia dell’olocausto; e il campo della filosofia nei suoi sviluppi più recenti, ove lavora alla elaborazione di un’alternativa al corso di pensiero che ha reso possibile i totalitarismi politici inumani del secolo scorso».
Come è già manifesto dal sottotitolo, il libro presenta un profilo biografico del filosofo lituano che ha vissuto la sua fioritura e produzione filosofica in Francia. Questo profilo è seguito dall’analisi di quattro tematiche teologiche: sulle “tracce” di Dio per via etico-fenomenologica; il bene tra giustizia e amore/misericordia; messianismo e mondo futuro – le tensioni dell’escatologia; e, in fine, la trasfigurazione etica e teologica del corpo – una fenomenologia originale.

Husserl, Heidegger e olocausto

L’incontro con Edmond Husserl e Martin Heidegger darà a Lévinas, studente di filosofia, lo strumentario necessario per la sua filosofia futura. Da Husserl apprende il metodo fenomenologico che farà proprio nel suo nucleo essenziale, seppure in una forma critica verso il maestro. Da Heidegger erediterà la centralità della questione dell’essere in filosofia. La deriva nazista di Heidegger segnerà il distanziamento, ma non la perdita della stima per la sua collocazione cruciale sul crocevia della storia del pensiero filosofico. Lévinas dirà ancora nel 1982: «Io penso che chiunque nel XX secolo intraprenda la via della filosofia non possa non avere attraversato la filosofia di Heidegger, sia pure per uscirne».


Sul versante biografico e religioso, verrà profondamente segnato dall’esperienza dell’olocausto. L’experimentum crucis nutrirà e influenzerà la sua lettura delle Scritture. Un esempio è la sua riflessione sulla “persecuzione” del suo popolo in riferimento al capitolo 53 di Isaia.
I due affluenti che caratterizzano Lévinas si nutrono a vicenda, anche se rimane intenzione sua volersi presentare come filosofo non religioso. L’interesse di questa distinzione è quello di voler tradurre l’esperienza religiosa nelle categorie filosofiche per potersi rivolgere a tutti gli uomini. «Se si vuole pensare e comunicare l’esperienza religiosa indirizzandosi a tutti gli uomini, è quindi necessario cercare di “tradurre” la Bibbia in linguaggio filosofico. Tenendo però presente che la filosofia non riuscirà mai a esprimere in modo esaustivo nel proprio “detto” l’esperienza da cui ha avuto origine».
La centralità dell’alterità e la sua tutela come gesto morale e teologico si manifestano già nella prima grande opera filosofica di Lévinas, Totalità e Infinito del 1961. In questo Saggio sull’esteriorità, il filosofo sottolinea appunto l’esteriorità radicale che trascende ogni interiorità egologica e che incontriamo nell’alterità dell’altro uomo e, sullo sfondo, nell’alterità di Dio.
C’è una separatezza dei soggetti grazie alla quale le alterità entrano in relazione senza lasciarsi inglobare a vicenda. In questo tratto filosofico si manifesta il rifiuto di Lévinas della riduzione dell’incontro a una costituzione della totalità, germe dei totalitarismi. Questo tratto traduce in termini filosofici i temi ebraici di creazione e di separazione/santità radicale di Dio.

L'etica è l'ottica del trascendente 

La presenza morale dinanzi all’altro fa sì che la morale non sia «un ramo della filosofia, ma la filosofia prima», come chiarisce il filosofo il Totalità e Infinito.
In Difficile libertà, Lévinas evidenzierà come l’etica non sia «il corollario della visione di Dio: è questa stessa visione. L’etica è un’ottica. Tutto ciò che so di Dio e tutto ciò che posso intendere della Sua parola e dire a Lui con ragionevolezza deve trovare un’espressione etica. Nell’Arca Santa in cui Mosè intende la voce di Dio ci sono solo le Tavole della Legge. La conoscenza di Dio che possiamo avere, e che si enuncia – a partire da Maimonide – sotto forma di attributi negativi, riceve un senso positivo a partire dalla morale. “Dio è misericordioso” significa “Siate misericordiosi come Lui”. Gli attributi di Dio sono dati non all’indicativo ma all’imperativo […]. Conoscere Dio significa sapere cosa bisogna fare».
Riassumendo lo spirito della Bibbia ebraica, Lévinas afferma che il rapporto con Dio «attraversa il rapporto con gli uomini e coincide con la giustizia sociale». In tal senso «l’ordine etico non è una preparazione ma l’accesso alla Divinità»
Con l’opera di conformazione a Dio, l’uomo si apre al tempo-eterno dell’Altro, trascende l’inderogabile limite della morte. «L’“Opera della bontà”, – spiega Ferretti – , ha una sua propria escatologia, ma “senza speranza per me”. Andando ben oltre il famoso “essere-per-la-morte” heideggeriano, l’agire etico disinteressato – la Bontà – è infatti in grado di prospettare un senso che neppure la morte può abolire, quello di “essere-per-l’al-di-là-della-mia-morte”; e così esso apre un varco verso “il tempo dell’Altro”; un varco che forse solo ciò che si chiama “eternità” può rendere possibile».




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