Che esperienza ha dello Spirito Santo l’uomo che non osa definirsi mistico e non fa parte di movimenti che si rifanno primariamente alle manifestazioni dei carismi dello Spirito? Nella piccola raccolta di Meditazioni sulla Pentecoste di Karl Rahner, riedita dalla San Paolo con il titolo L’esperienza dello Spirito, il teologo tedesco presenta delle sfumature meno appariscenti, ma non perciò meno efficienti e reali, dell’esperienza dello Spirito Santo.
La prima meditazione di Rahner manifesta l’indispensabilità del ricorso alla Sacra Scrittura per codificare l’esperienza dello Spirito Santo entro i confini della fede giudeo-cristiana. Le Scritture, lungi dal delimitare negativamente l’esperienza dello Spirito Santo, ce lo presentano, non con una trattazione dottrinale e arida, ma con una narrazione pudica ma decisa. L’evocazione è fatta, infatti, con un ricorso all’esperienza dello Spirito che i personaggi biblici fanno e che ci viene raccontata per diventare griglia narrativa ed esperienziale anche per noi.
Rahner distingue la natura dell’esperienza dello Spirito dalle altre tipologie di esperienze empiriche che facciamo ogni giorno. La sua intimità, però, non è sinonimo di astrattezza. Gli effetti di questa esperienza attestano la sua concretezza. È importante innanzitutto non identificare la parola «esperienza» esclusivamente con manifestazioni particolari. L’esperienza, qualsiasi esperienza, va colta prima di tutto, e senza escludere manifestazioni esterne, all’interno dell’area complessiva della nostra coscienza (14).



Ci sono tante esperienze che facciamo che non sono verbalizzabili, ma sono nondimeno reali, anzi, realissime. Tra queste possiamo annoverare niente meno che l’esperienza che il soggetto fa di se stesso in ogni singola esperienza, con-conoscendosi con ogni atto di conoscenza, e sperimentandosi in ogni esperienza che fa. «Proprio alla luce di questa innegabile ma non tematizzabile esperienza, non possiamo respingere in partenza come non esistente l’esperienza dello Spirito. soltanto perché adesso non ci si bada esattamente come avviene per la presenza se stesso del soggetto in tutte le esperienze particolari» (16).
Il distinguo che il teologo presenta tra le manifestazioni estatiche è il nucleo mistico ed essenziale per superare la diffusa incomprensione che fa degli stati mistici retaggio di persone o privilegiate o semplicemente etichettate come “strane”. Per questo l’A. invita a distinguere «in maniera chiara il nucleo vero e proprio della esperienza mistica da simili fenomeni marginali assai rari, come l’estasi, i rapimenti, ecc, capiremmo meglio come le esperienze mistiche non siano affatto eventi che si collochino assolutamente al di là dell’esperienza di un cristiano normale, e come i mistici rendono testimonianza di un’esperienza, che può essere fatta e desiderata da ogni cristiano, anzi da ogni uomo, ma che purtroppo può anche essere disattesa e rimossa con estrema facilità» (24-25).
Rahner afferma che come cristiani non dobbiamo limitarci a un rispettoso inchino di fronte alle esperienze fatte da una élite estatica, invitando a considerare la natura dell’esperienza del «mistero anonimo». In ogni nostra esperienza noi siamo al di là e oltre ciò che sperimentiamo. In ogni esperienza immanente c’è la traccia di una trascendenza. «Se chiamiamo mistica questa esperienza della trascendenza, in cui l'uomo nella sua esistenza quotidiana e nel contempo sempre anche al di là di se stesso e delle realtà singole di cui si occupa, allora possiamo dire che la mistica viene vissuta già nel bel mezzo della vita di ogni giorno, in modo velato e anonimo, e che essa è la condizione della possibilità dell'esperienza quotidiana più sobria e più profana» (40-41).
Dio è colui che sperimentiamo in questa vastità anonima di esperienza trascendente nell’immanente. L’A. definisce Dio come «il fondamento non abbracciato, che tutto abbraccia, e il presupposto della nostra esperienza e dei suoi oggetti. Egli viene sperimentato nell'inquietante esperienza della trascendenza» (41-42). L'esperienza trascendentale è allora l'esperienza di Dio nel bel mezzo della vita quotidiana. Sul piano teologico, questa esperienza dell’eccedenza delle nostre esperienze è lo spazio della grazia; è il richiamo personale di Dio innescato nella nostra natura e attraverso il quale ci richiama a sé. A questo livello teologico, ciò che era speranza attiva a livello esistenziale diventa realtà. Ciò che era impresa umana diventa cooperazione con la grazia di Dio, con la Persona dello Spirito Santo.
È necessario ribadire che tale esperienza viene nascosta e oscurata dall’interesse per le realtà concrete, e che richiama una sua manifestazione ed esplicitazione nell’ascolto della Parola di Dio. Il trapasso dall’esperienza categoriale a quella trascendentale dello spirito avviene quando non ci abbandoniamo più alla logica naturale degli eventi: sono quei momenti in cui facciamo scelte non convenzionali e non deducibili dalla nostra sola natura. Ad esempio, facciamo esperienza dello spirito quando perdoniamo con gratuità, certi di non avere alcun tornaconto; oppure quando «cerchiamo di amare Dio, quantunque abbiamo l’impressione di non ricevere alcuna risposta amorosa dalla sua silente incomprensibilità» (55).
Uno dei tanti esempi che Rahner presenta, e attraverso i quali si fa un’esperienza silente dell’opera dello Spirito: «Possiamo notare all'improvviso come il rivolo della nostra vita serpeggi attraverso il deserto della banalità, apparentemente senza scopo è accompagnato dalla paralizzante paura di essiccarsi del tutto. E, ciononostante, senza sapere come speriamo che esso trovi l'immensità del mare, anche se per il momento gli è ancora nascosto dalle dune grigie, che sembrano distendersi all'infinito davanti al suo piccolo corso» (58-59). E ancora: «Dove usiamo pregare, rivolti ad una oscurità silente, e ci sappiamo in ogni caso esauditi, anche se dall’aldilà non sembra pervenirci alcuna risposta, su cui poter ragionare e discutere» (62).
… In tutte queste esperienze ordinarie «è nascosta la mistica della vita quotidiana, il ritrovamento di Dio in tutte le cose. Là c’è la sobria ebbrezza dello spirito, di cui parlano i Padri della Chiesa e l’antica liturgia, quell’ebbrezza che non è lecito respingere o disprezzare, perché è sobria» (64).

Le meditazioni di Rahner ci invitano ad aprire gli occhi e a meditare sulla nostra vita e a cercare di scoprirvi l’esperienza dello Spirito e della grazia. Facciamolo non per dire: «essa è qui, la posseggo», perché non possiamo trovarla per poi reclamarla con aria di trionfo quale nostra proprietà e bene. Possiamo cercarla solo dimenticandoci; possiamo trovarla solo cercando Dio e donandoci a lui con un amore dimentico di sé, che non ritorna su se stesso» (90).