Nella vita quotidiana ci sfioriamo con gli sguardi. Ci fissiamo per prepotenza, manteniamo lo sguardo per cortesia o ci perdiamo negli occhi dell’altro per amore. Lo sguardo è una meraviglia misteriosa. Quando guardi chi ti guarda, ti rendi conto che non dovresti trattare l’altro come un oggetto. L’altro è una presenza, è un «tu». Lo sguardo, però, può essere indiscreto, un giudizio ancor più spietato delle parole.
Ciò che vale per le persone si applica anche alla nostra percezione dello sguardo di Dio. Jean-Paul Sartre, un filosofo esistenzialista ateo, racconta che, una volta, nella sua infanzia, mentre stava giocando con i fiammiferi ha bruciato un piccolo tappeto. In quell’istante, mentre cercava di nascondere le tracce del delitto, ha sentito «lo sguardo di Dio all’interno della sua testa e sulle sue mani». Era «orribilmente visibile» agli occhi di quel Dio. Sartre si è infuriato contro tale «indiscrezione» e ha bestemmiato e da allora, racconta: «Dio non m’ha più guardato». Non c’è da meravigliarsi se quell’uomo è diventato ateo! Uno sguardo onnipresente di questa aggressività è insostenibile, è diabolico! Non è affatto questo lo sguardo di Dio nei vangeli.
Nella pericope che avevamo iniziato a considerare (Gv 1,35-51) c’è una grande intensità di sguardi: il Battista «fissa lo sguardo su Gesù» e i due discepoli sono chiamati a venire e vedere. Ma lo sguardo che conta e che non solo guarda ma salva-guarda è quello di Gesù. È lo sguardo luminoso che illumina i vari incontri. Il climax di questo gioco di sguardi è l’incontro con Natanaele.
Filippo – uomo semplice ed entusiasta – annuncia all’amico Natanaele: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret!». Natanaele, l’intellettuale, coglie la palla al balzo per mostrarsi saccente: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». «Vieni e vedi!». Natanaele viene a vedere Gesù, non per curiosità, né per convinzione, ma per sfida, come se dicesse a Filippo: «Vengo, vedo e vinco il tuo abbaglio». Gesù, intanto, vede Natanaele ed elogia la sua integrità. Ma questi, diffidente, replica: «Come mi conosci?». Gesù risponde: «Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto sotto l’albero di fichi».
La risposta suscita in Natanaele una reazione a prima vista esagerata. Lo scettico saccente, infatti, confessa la divinità di Gesù: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re di Israele!». Cosa è successo?
È difficile compenetrare fino in fondo il valore di quest’esperienza; è certo però che la frase di Gesù non è stata una localizzazione spazio-temporale. Gesù ha visto Natanaele nella sua essenza, nella sua dimora spirituale, come persona assetata della verità, come uomo in cammino (homo viator), un cuore giovane che cerca il volto di Dio.

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Quando qualcuno ci avvolge con uno sguardo caldo, la nostra vita è visitata, siamo improvvisamente strappati dall’anonimato e dalla solitudine esistenziale. Agli occhi di Gesù si applica in modo eccellente ciò che dice il filosofo francese Jean-Louis Chrétien: «L’ascolto è più congeniale allo sguardo dell’udito». Gesù ascolta, accoglie e ama con i suoi occhi. Lo sguardo di Gesù trasmette, guarda dentro e ama; così nell’episodio del giovane ricco: «Gesù lo guardò dentro e lo amò» (emblepsas autō ēgapēsen auton) (Mc 10,21).

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Non è facile sostenere lo sguardo, soprattutto quello di Dio. Abbiamo troppi pregiudizi inculcati dagli ammonimenti dell’infanzia e dalla voce del serpente che sussurra nel giardino di ogni cuore parole di diffidenza nei confronti di Dio: l’abbiamo visto in Sartre che afferma che lo sguardo dell’altro ferisce, è pericoloso, uccide.
Il vangelo, però, è la «buona notizia» sullo sguardo misericordioso di Dio. Thérèse di Lisieux, che ha colto lo sguardo di Dio nella sua verità, ebbe a dire in un suo poema intitolato Mon Ciel à moi: «Lo sguardo del mio Dio, il suo splendido sorriso. Ecco il mio Cielo!». Da qui si capisce quel che Balthasar scrive: «La santità consiste nel tollerare lo sguardo di Dio».
Non è facile lasciarsi guardare, lasciarsi amare soprattutto laddove noi stessi non riusciamo a guardarci e amarci. A volte ci capita di essere elogiati da qualcuno per qualità che non vediamo in noi stessi. In quei momenti, siamo attraversati da due sentimenti contrastanti: siamo contenti di essere amati e apprezzati, ma, al contempo, serpeggia dentro di noi un senso di tristezza che ci spiffera cinicamente: «Se ti conoscesse veramente, non penserebbe questo di te».
Gesù conosce nel profondo Natanaele, conosce ognuno di noi, ci guarda come quel giovane del vangelo e ci ama. Lui è fatto così: non ci ama perché siamo degni, ma ci rende degni perché ci ama.
A Gesù si applicano in modo pieno le parole sull’amore di Jean Vanier, il fondatore della comunità L’arche che si occupa dei disabili mentali: «Amare qualcuno è rivelargli la sua bellezza».
Gesù guarda l’uomo e il suo sguardo creatore effonde in lui la bellezza originaria e originale di Dio. Lo sguardo di Gesù restaura l’immagine ferita di Dio.
Se il cuore è pronto, basta solo uno sguardo d’amore per risorgere.

Questo testo è un estratto del libro Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana, Edizioni San Paolo, Milano 2013.