Robert Cheaib
La teologia fondamentale è una disciplina teologica moderna e antica al contempo. È una disciplina giovanissima perché nella sua veste nuova come «teologia fondamentale» (=TF)  - per riecheggiare René Latourelle - ha iniziato la sua configurazione a metà del ventesimo secolo più o meno. Ma è una disciplina che affonda le radici nell’antichità, anzi, proprio nell’essenza della fede cristiana. Non a caso la magna carta della disciplina è 1 Pt 3,15: «Siate sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi».
Subito dopo l’epoca dei padri apostolici, la Chiesa ha potuto agganciarsi con il mondo culturale greco e affrontare le sfide poste dalla cultura dominante grazie ai padri apologisti. La TF, infatti, è la figlia e l’erede dell’apologetica che, serbando la buona eredità della genitrice, vuole evitarne gli errori e superarne i limiti.
La TF costituisce il volto comunicativo della fede, il volto che dialogo e che sa tradursi nelle parole degli altri senza tradire l’essenza della fede. Da qui viene conosciuta anche come «disciplina di frontiera». Questo statuto dialogico e liminale espone la TF a una caratterizzazione identitaria costitutivamente instabile.
Francesco Testaferri, nel suo saggio Il tuo volto Signore io cerco. Rivelazione, fede, mistero: una teologia fondamentale, puntualizza lo statuto paradossale ma obbligato con cui la teologia, e specie la TF, deve fare i conti così: la teologia deve «da un lato produrre un pensiero dopo il secolarismo e dall’altro – ed è questo forse l’aspetto più decisivo e allo stesso tempo intrigante – misurarsi equilibratamente con l’impresa di tracciare una teologia paradossalmente “secolari sta”, perché incarnata nell’oggi, senza scadere in un generico adattamento alle mode culturali. Qui sta il punto nodale della problematica attuale, sul quale in un certo senso sta o cade la pretesa stessa di formulare una teologia al passo coi tempi».
Le piste che il professore dell’Istituto Teologico di Assisi percorre e «ritratta» per tradurre la rilevanza della fede cristiana per il secolo sono fondamentalmente due.
La prima è una considerazione del binomio rivelazione-mistero. L’autore si propone di considerare la pertinenza reciproca delle due categorie, volgarmente considerate come contraddittorie (giacché si pensa che la rivelazione elimini il mistero e che il mistero rilevi il fallimento di una rivelazione!). Tale riflessione sulle due categorie porta al superamento di un modello teologico basato sul paradigma logico-descrittivo, verso un modello più esperienziale che coinvolge «l’esperienza integrale» e il «teologo totale» per rievocare il lessico del saggio Teologia e santità di von Balthasar.
La seconda pista che Testaferri percorre è quella di una riconsiderazione della pregnanza e del significato della fede alla luce della categoria di mistero. Le sfide poste in questa sede sono – secondo l’autore – due: «Da un lato si tratta di riconfigurare la fede nella prospettiva del mistero rivelato, in modo da abbandonare l’idea imperante di fede come conoscenza straordinaria e certa di verità di carattere soprannaturale, per muoversi invece sempre più decisamente verso la prospettiva personalistica integrale. D’altra parte sarà necessario uscire dal vicolo cieco di un confronto fede-ragione impostato nei termini epistemologici dettati dalle premesse moderne ed estendere invece la portata della questione nella ben più chiara direzione personalista integrale mirabilmente espressa dalla Dei Verbum».
Il saggio di Testaferri entra nel solco felice di una nuova sensibilità nel campo della TF che riconosce «l’incertezza» in cui versa la disciplina, ma non la vive come una condanna o come segno di debolezza, ma come un kairos e una vocazione per rinnovare le proprie istanze e per entrare ulteriormente in dialogo con le istanze contemporaneo, per portare il Vangelo nell’areopago di oggi. Siamo, in definitiva, dinanzi a «una scelta statuaria» che rende la TF profondamente agile per muoversi sul terreno instabile dell’oggi che desidera, con non minore sete del passato, «di vedere Gesù» (cf. Gv 12,21).

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