L’ombra e la grazia di un incontro tra «diversamente credenti»

Robert Cheaib
Al vedere un titolo come quello di Giulio Osto, Diversamente credenti. Un aperitivo tra atei o credenti, il lettore può immaginare varie «pietanze» tra cui due estreme: una zuppa diluita di cristianesimo senza radici che manca del «sale» necessario; o una macedonia amara di frutti di ateismo che tra denuncia ed eziologia tenta di circuire il fenomeno ateistico con l’intento di ributtare i perplessi nella padella della fede. Niente di tutto ciò! Il libro di Osto è un menù sorprendente, fresco e vario che permette nella sua brevità di gettare uno sguardo diverso a un rapporto possibile tra credenti e atei, o – come preferisce l’autore – tra cristiani e «diversamente credenti».
Il lessico «culinario» del paragrafo precedente non è casuale, esso rispecchia la simpatica scelta
di Giulio Osto di architettare il libro in termini di «aperitivo». Con la simpatia e lo spirito che in genere accompagnano un aperitivo – contraddistinto dalla distensione, dall’apertura e dal desiderio d’incontro e di dialogo – l’autore ci presenta tre «portate»: assaggi biblici, assaggi culturali e menù ecclesiali.
Già l’introduzione dell’opera detta la musica di sottofondo che accompagna e qualifica l’aperitivo: le pagine del libro vorrebbero essere un aiuto «a crescere nella pazienza di descrivere. Nel custodire la calma di un parlare ponderato opposta alle dichiarazioni affrettate. Nel vivere la discrezione consapevole che dietro a molte banalità, della chiacchiera ridondante e della comunicazione ipertrofica, albergano domande, ferite, biografie, storie e desideri meritevoli di tutto il rispetta e la cura che esige l’umano» (15). Il libro, quindi, non è un «Prontuario per convertire gli atei», ma piuttosto un invito al dialogo, ad aprire le orecchie e a guardarsi – tra credenti e non – con attesa, sorpesa ed empatia. Non da ultimo, l’auspicio del libro è quello di «mettere in discussione almeno coloro che si dicono cristiani» (16).
Al di là della diffidenza
Gli «assaggi biblici» ci mettono dinanzi allo sguardo scritturistico sul fenomeno dell’ateismo. La Bibbia riconoscere la non originarietà del fenomeno ateistico (certo non presente in questa terminologia, ma riassunto nel rifiuto della re-ligio, della relazione vera ed esigente con Dio). La fede è presentata nella Bibbia in termini di affidamento, di relazione, quindi l’incredulità è il corrispondente del rifiuto dell’affidamento. Ora il non affidarsi non è un fenomeno sano od originario, ma è un’eccezione (P. Sequeri)… ed è questo il motivo per cui l’autore preferisce non parlare di atei, ma di diversamente credenti. Ogni uomo, per vivere, deve credere e affidarsi a qualcuno o qualcosa.
L’Antico Testamento sottolinea la ricorrente caduta dell’uomo nelle braccia dell’idolatria, mostrandone un volto misterioso come incorreggibile «inventore di idoli» (M. Buber). Ciò che contraddistingue l’idolatria è il travisamento del rapporto religioso fondato nella sua verità sull’ascolto. L’idolo, muto e incomunicante, non parla, ma si vede, si possiede, si controlla. È un ripiego e una riduzione rispetto al rapporto originario che l’uomo può avere con Dio. Con l’idolo, inoltre, non si giunge alla comunione, ma al massimo alla fusione.
Anche Gesù, nel Nuovo Testamento, si presenta come difensore della vera religiosità libera da ogni strumentalizzazione e riduzione. Da qui la sua presa di posizione dura contro chi falsifica e travisa l’essenza e il senso del rapporto con Dio. «Gesù non ha annunciato che ‘Dio esiste’, ma che Dio ha un certo volto. La pretesa di Gesù è stata quella di rivelare un preciso volto di Dio, un Dio diverso» (30). Chi non ha ancora incontrato questo volto di Dio è ancora – in un certo senso – «a-teo».
Mappatura del credere diversamente
Gli «assaggi culturali» si presentano in tre passaggi: il primo ripercorre il legame stretto tra le forme del credere e la cultura, il secondo esamina la diagnosi dell’ateismo proposta del Concilio Vaticano II, e il terzo propone un «pentagramma» su cui viene composta la maggior parte delle musiche del credere diversamente.
L’autore chiarisce che ci è impossibile comprendere le varie forme del credere senza addentrarci nella comprensione della cultura in cui germogliano le varie forme di credenza e dove vivono le persone che credono e credono diversamente.
Nel passaggio successivo, Osto esamina la mappatura dell’ateismo presentata nella Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II (nn. 19-21). Ciò che distingue il primo paragrafo del testo conciliare è la descrizione (e non la definizione) dei vari volti del fenomeno «dialettico» e «complesso» dell’ateismo.
Il terzo passaggio lascia parlare il pentagramma fondamentale che sembra stare alla base di tanti modi di credere diversamente. Le parole-chiave mostrano l’affinità di fondo tra tipi di credere diversamente che all’apparenza sembrano diametralmente opposti: Sofferenza, silenzio, sospetto, scandalo, sacro.
Per uno stile dialogico sostenibile
Il terzo e ultimo capitolo del libro guarda allo stile della Chiesa primitiva nel dialogo con chi crede diversamente. I quadri presentati sono quelli Pietro e Cornelio, di Paolo all’areopago - «un paradigma di stile, di pedagogia, di evangelizzazione»…
La riflessione prosegue con un bilancio sulla grazia e l’ombra di duemila anni di cristianesimo (si noti l’afflato weiliano). Il capitolo mostra le varie modalità di presenza – di incontro e scontro – tra Chiesa e ateismo.
Con l’ascolto distintivo del Vaticano II, l’autore mostra come nella genesi dell’ateismo hanno contribuito non poco i credenti. E la sua proposta per un dialogo fecondo tra credenti e diversamente credenti avviene sotto il segno di una nuova prossimità che ha due volti distintivi:
- la prossimità del cuore: assumendo la lezione newmaniana del cor ad cor loquitur.
- la prossimità della vita: quale espressione naturale dello stile gesuano della Chiesa nel mondo, che – come a Emmaus – incontra gli uomini di oggi on the road.
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