In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Gen 3,1-8   Sal 31   Mc 7,31-37

È lenta l’opera di Dio nella storia, nella mia storia. È come la guarigione del sordomuto. Ma forse la parola “lenta” non è quella più giusta. È piuttosto attenta e condiscendente. Non effettua prodigi che annientano o squarciano l’umano, ma piuttosto gesti piccoli e graduali per elevare l’umano al divino senza snaturarlo. Il tipico del Dio rivelato in Gesù è questo: rivelare il divino nell’umano ed elevare l’umano al divino, e questo con la delicatezza esigente di quell’Effatà, «apriti», il comando che il Sole rivolge con il suo esigente calore al bocciolo dei figli di Dio che noi siamo per aprire in noi orecchie e bocca a udire e ridire e dare vita al Verbo della Vita.