La Bibbia è un libro noioso, pesante e soporifero. Come è possibile per una ragazza di diciassette anni, con i suoi seri problemi che non sto ad elencare…. poter mettere come priorità nella sua vita, parole che dimostrano i 2000 anni che si portano sulle spalle? Come trovare concretezza e tangibilità in espressioni che mi suonano di vuoto? E vogliamo parlare dell’antico testamento? Ma come può un giovane “filarsi” certi profeti contorti e complicati?
M.
Cara M.,
Ti ringrazio per la tua mail sincera e senza filtri. Preferisco quando le persone – soprattutto i giovani esprimono le loro sensazioni ed impressioni senza finzione. La malattia del politically correct impedisce le persone di affrontare le loro domande, coprendole con parvenze di risposte che minano silentemente l’adesione del cuore alla fede e la svuotano. E così si rimane credenti per inerzia. Dato che la fede è un’esperienza di amore, non può essere vissuta per inerzia, ma come un cammino personale, rinnovato e fresco di giornata. Quando hai usato la parola “noiosa” mi hai fatto pensare all’aggettivo che ho usato tra me e me quando un paio di anni fa ho saputo di un’iniziativa di lettura pubblica continua della Bibbia dall’inizio alla fine. Mi sono detto: “ma che noia mortale sarà leggere le poco attraenti guerre dei Maccabei, oppure quando Isaia inizia a spargere l’ira funesta su tutte le città possibili e immaginabili”. Da un lato, confermo con te: la Bibbia ha tutti questi anni e li dimostra tutti (ecco qui ho riso... ti citerò a lezione di Introduzione alla Sacra Scrittura). La Bibbia non è un libro da leggere continuativamente come un romanzo. In varie mie conferenze dico che certi romanzi di serie "b" sono meno noiosi della Bibbia se la si leggesse come una “storia”.
C'è però qualcosa di particolare a contatto con la Bibbia, qualcosa che passa attraverso la pazienza dell'addomesticamento, per usare una figura del «Piccolo principe». Qualcosa che va aldilà dell’apparente noia e si apparenta alla meta-noia… la conversione (scusa la mia irresistibile tentazione di giocare con le parole)… Mentre leggevo la tua mail (che ho citato qui solo brevemente per essenzializzare la tua domanda), mi è venuta in mente un'immagine, spero che renda la mia idea: hai mai messo una barretta Kinder in frigo? Se la prendi e la mangi subito, non senti niente. Rimani un po' delusa. In un certo senso, per gustare il cioccolato, devi farlo sciogliere in bocca. Lo stesso processo avviene con la Scrittura: non va letta, essa va serbata, va incontrata, va assaporata lentamente e va lasciata lavorare e fermentare nel nostro essere. La lettura della Scrittura deve suscitare in noi quell’arte antica del costruire legami, un’arte che richiede tempo, pazienza e presenza.
Sostengo con convinzione che «l’arte di leggere la Scrittura è leggersi nella Scrittura». La Scrittura non è fatta primariamente per una lettura curiosa, per una lettura continuativa o esplorativa. La Bibbia è fatta per un’immersione approfondita, lenta, vitale.
Un filosofo francese, Jean Louis Chrétien, parla di stare «sotto l’occhio della Scrittura» e a questo riguardo evoca due immagini interessanti per spiegare la natura della Scrittura e il corrispondente rapporto con essa. La Scrittura è:
- una lettera che Dio rivolge all’uomo per farsi conoscere; scrive Gregorio Magno: «Impara a conoscere nelle parole di Dio il cuore di Dio .... Che cos’è infatti la sacra Scrittura se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura?». La parola di Dio ci invita a riconoscerci noi stessi come «una lettera di Cristo […] scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente» (2Cor 3,3).
- uno specchio in cui l’uomo può conoscere se stesso, discernere la propria vita e mettersi continuamente in gioco. Non è uno specchio deformante, ma una parola di verità e uno specchio trasformante che ci permette di essere rinnovati nell’immagine di Dio (cf. 2Cor 3,18). A ragione Claudel afferma:
Non è giusto dire che siamo noi che interroghiamo le Scritture. Sarebbe più esatto riconoscere che sono le Scritture che ci interrogano, e che trovano per ognuno di noi, attraverso tutti i tempi e tutte le generazioni, le questioni appropriate.
In uno scritto mio uscito un paio di anni fa affermavo una cosa di cui sono tutt’ora convito: «V’è una doppia esigenza di contemporaneità nella Scrittura: la prima è interpretarla e renderla attuale per l’oggi; la seconda – forse la più difficile – è sincronizzare noi stessi con il tempo di Dio, con la sua immagine e immaginazione. Opportunamente, Chrétien allude all’intenzionalità di À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. Lo scrittore francese, infatti, aveva concepito i suoi personaggi come un avvio, un invito e un mezzo affinché chi legge legga se stesso».

Sicuramente questo testo, più che darti risposte, ti provoca… se farà questo sarò tanto contento. Anzi, sarei in attesa della tua reazione e mi farà piacere più l’anelito e la ribalta che l’appiattimento e la quiete. Scoprirai così che in realtà la Scrittura non ti annoia, ma che suscita sempre l’interrogare del cuore… che realizza il suo vivificante effetto!