Per indole non sono un agente segreto da sant’Uffizio. Odio viziare tutto con giudizi inappropriati. Mi è stato chiesto da più di una persona un parere sulle due serate di Benigni sui dieci comandamenti e ho promesso – a una di loro – che se mi fosse venuto in mente qualcosa di semi-intelligente, avrei risposto.
Sicuramente quello che reputo semi-intelligente non farà piacere ai totalmente intelligenti, ma ognuno nella vita fa quel che può. Mi consolo che il mio sito non è coperto dal canone del contribuente e che quindi posso pensare ad alta voce qui senza “rubare” ad alcuno.  E così dare una risposta al volo a chi mi ha interpellato. Più che una risposta, è un esame di coscienza, per me… e per chi vuole mettersi in discussione.
La premessa fondamentale per me è questa: se ti sei messo ad ascoltare Benigni per ripassare il catechesimo, hai scelto il posto sbagliato. Figlio, va ad ascoltare le catechesi sui dieci comandamenti. Sono davvero belle… e mettile in pratica… Benigni va ascoltato e valutato come un “personaggio” – un comico e un letterato – che fa una sua lettura, non necessariamente condivisibile in toto nel contenuto, ma non per questo da buttare via, anche perché abbiamo tanto da imparare dalla forma. E sinceramente preferisco Benigni in prima serata che tanto dello trash televisivo vomitevole che troviamo in giro (e che fortunatamente snobbo).
Quindi, il mio consiglio agli “scribi” battezzati di non continuare la lettura. La presente non è una valutazione teologica. Se volete una valutazione teologica fate una cosa: aprite il catechismo, il mio e il vostro catechismo. E prima di tutto osservate il quinto comandamento… con la lingua.

La mia opinione si sviluppa in dieci punti. Cinque oggi, cinque domani. Buona lettura

1- Passione

Come non ringraziare Benigni per la passione che ci ha messo nel narrare, raccontare e interpretare? – anche se non condivido tutto quello che ha detto, condivido il pathos con cui l’ha espresso.
Parlo da annunciatore della Parola, ma anche da uditore della parola, specie la parola di predicazione. Riconosco che il nostro primo errore grave è questo: parlare della Passione senza passione! Ma come si può?!! Come possiamo ridurci alla triste constatazione di Kierkegaard: un professore di teologia [o un predicatore] è uno che lavora perché un altro è morto?
In quante messe si vive – da credenti uditori – la “passione di Cristo”, non perché siamo dei mistici, ma perché patiamo omelie smorte che sanno di naftalina piuttosto che di freschezza evangelica?
Ricordiamoci il monito del grande Gregorio di Nazianzo: «Il bello non è più bello, quando non si riproduce in maniera bella».

2- Entusiasmo

Come non compartire anche l’entusiasmo, quella parola magica che contiene tra le sue pieghe la menzione dell’«essere in Dio», “en-thous”, essere invasi, mossi e commossi dalla presenza di Dio.
L’entusiasmo è quella scintilla di bellezza – e quale vera bellezza non viene da Dio?! – che mettiamo in ogni parola. E solo il bello scatena lo splendore del vero e rende simpatico il volto del bene.
Penso a Gesù, ai giorni della sua vita terrena, all’esultanza – al contagio d’entusiasmo – di quella donna che in mezzo alla folla è esplosa in un sincero elogio… Si fa riferimento circa 36 volte nei sinottici all’autorevolezza di Gesù (exousia)… quanto manca questo nel nostro annuncio, noi scribi cristiani!

3- Meraviglia

Alla narrazione “credulona” della biografia di Mosè, all’inizio ho storto il naso, con un sorriso ironico sulle labbra. Per la razza a cui indegnamente appartengo, tre quarti della Scrittura è ormai genere letterario. Si racconta una barzelletta riguardo all’annunciazione a Maria ove si dice che, dopo vari studi storico-critici, è stato possibile risalire alle parole esatte dette dall’arcangelo alla Vergine: “Non temere Maria, sono solo un genere letterario”.
… Ma poi ho pensato: facciamo sempre i troppo intelligenti… razionalizziamo tutto riducendo all’osso il racconto biblico credendo che solo noi abbiamo scoperto l’acqua calda. In realtà, il redattore finale del testo biblico era molto più intelligente di noi (e non solo perché ispirato) e ha fatto una scelta narrativa sapendo che il testo verrà primariamente raccontato, e poi successivamente spiegato. Il testo della Bibbia merita, non solo di ispirare sculture ed affreschi, ma anche una narrazione fresca che colpisce.
È quel senso di meraviglia da bambino che lodo in Benigni. Sapersi meravigliare! che dono spirituale amici! L’amico Chesterton diceva: “Il mondo non morirà per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia”.

4- Preparazione

Non mi dite che non vi siete accorti che Benigni aveva preparato il suo discorso, memorizzando pezzi interi di citazioni bibliche, culturali, conoscendo a memoria anche la sequenza che voleva seguire. Quanto abuso di grazia noi facciamo, con discorsi e omelie non preparate, non caricate prima di essere sparate. Quanto serbiamo di quanto annunciamo?
Mi ricordo una conversazione di qualche anno fa che rasenta l’incredibile con un sacerdote che conoscevo. Non spiccava di capacità comunicative durante l’omelia e confesso che – come con Beautiful – ogni volta che l’ho sentito, l’ho visto dire la stessa cosa… La stessa predica a “Natale... Pasca e Ppifania!!!”. Parlando una volta con lui, gli chiesi: “Come prepari la tua omelia?”. La risposta fu: “No, io non la preparo! Io lascio parlare lo Spirito!”. – in cuor mio dissi: “quant’è monotono!”.
Quanto non tollero l’abuso della Grazia! «Da un grande potere, derivano grandi responsabilità» diceva lo zio dell’uomo ragno. Forse una lezione sulla grazia più profonda di tanti nostri schemi che meriterebbero un secco: «sta scritto anche: non tentare il Signore tuo Dio»

5- Amare la vita



La spiritualità di massacro, costruita su una “cadaverizzazione” di ogni istinto vitale, non è cristiana. È il pesante retaggio platonico e neo-platonico che ha inquinato l’antropologia biblica. Soltanto un sano ritorno alle sorgenti ci ha permesso (e ci permette) di cogliere che Dio non crea la vita per fare il dispetto di soffiarcela da sotto il naso, crea la vita per essere vissuta… ma vissuta bene, «in abbondanza» (cf. Gv 10,10). 
Una vita consumata – per intenderci – non è vissuta, ma è bruciata… Ma vale lo stesso per una vita repressa. I santi non vivacchiano, i santi vivono l’armonia dell’amore nel Respiro pieno di Dio.