Si è soliti sottolineare l'aspetto di incredulità nella vicenda di Tommaso. Ci sta. Ma c'è di più! Altrimenti non staremmo qui a festeggiarlo.
Nel caratterino di Tommaso c'è qualcosa di bello che sembra attirare gli interventi del Signore. Tommaso non vuole accontentarsi del sentito dire. Tommaso vuole capire da sé, vedere da sé, toccare da sé. Ci ricorda un po' la fede di Giacobbe, il quale sfida il Signore affinché sia con lui come è stato con Abramo ed Isacco. Giacobbe pone questa condizione per scegliere il Signore come suo Dio.
Questo atteggiamento può sembrare sfiducia diffidente o sfida temeraria. Ma c'è un altro modo per leggerlo: il desiderio di conoscere Colui in cui abbiamo posto la nostra fiducia. In fondo, è grazie a un atteggiamento così che Tommaso arriva a fare una delle confessioni le più forti e le più esplicite nei vangeli: «Mio Signore, mi Dio».
#pregolaParola(Gv 20,24-29)
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
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