È possibile che la Trinità sia solo un enigma che dobbiamo accettare contro ogni logica, anche matematica, senza capirne nulla e senza nessuna implicazione per la nostra esistenza? La Trinità non è un enigma. È un mistero. Le due parole non sono sinonimi. L'enigma è buio, oscuro. Il mistero è luminoso. L'enigma non si comprende. Il mistero non si finisce mai di comprenderlo. Non solo, il mistero dona comprensibilità a ciò che entra in contratto con lui. Così, senza la pretesa di fare una lezione di teologia, da questo vangelo impariamo qualcosa sul mistero della distinzione e, allo stesso tempo, dell'unità tra Gesù e il Padre. Gesù riceve tutto dal Padre. Si definisce come “il ricevuto” dal Padre. La ricettività non spegne la sua identità, ma la illumina perché lui è tutto ciò che il Padre dona. È la Parola, non in quanto chiacchiera, ma in quanto è accoglienza del dirsi del Padre nell'Amore. Già questo aspetto della vita di Gesù con il Padre è istruttivo concretamente per noi. Siamo chiamati a un'esistenza cristica. Un'esistenza che rispecchia Gesù, che fa spazio a Gesù. Più entriamo in questo anelito, più “ci comprendiamo” nella Trinità.
#pregolaParola (Gv 12,44-50)
Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
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