Essere bambini è la prima tappa nella vita fuori dal grembo. Non ci si sforza per esserlo, lo si è semplicemente. Casomai è vero l'opposto, ovvero, se uno non si sforza rimane bambino nell'uno o nell'altro aspetto della propria vita (anche se magari il copro continua il suo naturale corso di crescita fisica). E rimanendo così "desincronizzato", uno non è più un bambino, ma diventa un ridicolo bambinone o un patetico infantile... Diverso è il caso dell'infanzia spirituale. Gesù ci dice che bisogna convertirsi, bisogna diventare come i bambini. Bisogna farsi bambini. E cosa significa ciò? Tante cose, ma soprattutto deporre il delirio dell'onnipotenza per rivestirsi della fiducia filiale. Non so come sono le vostre madri, ma mia mamma continua a chiamarmi con il nomignolo dell'infanzia quando mi chiama. E penso che si ha diritto a un po' di infanzia (non infantilismo) finché c'è qualcuno per cui siamo bambini (non bambinoni). E tutti, proprio tutti, abbiamo questo Qualcuno. Il vangelo di oggi ce ne parla chiaro e tondo.
#pregolaParola

(Mt 18,1-5.10)
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.

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