I conti in questa vita non tornano. È questa la lezione scomoda che questo passo del vangelo ci trasmette. Ciò significa che non possiamo stare lì seduti a fare interpretazioni passive degli eventi. Il sole sorge per i buoni e per i cattivi e le disgrazie capitano anche alle persone in stato di grazia. Cosa dobbiamo fare allora? Dobbiamo fare una interpretazione attiva. Dobbiamo interpretare il nostro ruolo, unico e irripetibile. Cosa significa? Dobbiamo recitare? Proprio l'opposto. Recitiamo quando rappresentiamo qua l'uno che non è noi stessi. Mentre ciò a cui siamo chiamati è la «conversione», il ritorno a noi stessi, alla nostra autenticità, al “noi” che Dio ha pensato e benedetto. Perché morire senza aver realizzato se stessi nella santità... Quella sì che è una morte tragica.
#pregolaParola
(Lc 13,1-9)
In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai»».
Robert Cheaib
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