Ho conosciuto dei pastori nella mia infanzia e ciò che mi ha impressionato in loro è il fatto di avere una specie di rapporto singolare con ogni pecora del loro gregge. Per me le pecore erano tutte uguali, per loro no. La cura, poi, verso questi animali era esemplare, con ore e ore ogni giorno per stare dietro alle pecore nei pascoli. Gesù ci permette di vederlo in questa cura singolare e in questa pazienza. Ma c'è un aspetto in Cristo che neanche un buon pastore ha: questi, infatti, si prende cura delle pecore al fine di nutrirsi di loro prima o poi. Gesù il buon pastore, anzi, il bel pastore, diventa lui stesso nutrimento del suo gregge. Sostiamo in contemplazione davanti a questo grande amore, questa grande bellezza.
(Gv 10,11-18)
Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
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