In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
Ap 22,1-7   Sal 94   Lc 21,34-36

È bello l’inizio di un amore. C’è parecchia ingenuità, ma c’è anche molta ingegnosità perché il cuore è leggiadro, la volontà intenta e gli occhi attenti. Poi il tempo fa la sua opera: affatica, invecchia, rende i cuori disattenti e scontenti. L’ultimo vangelo dell’anno liturgico ci avverte contro questo processo “naturale” che è comune, ma non generale, possibile ma non irreversibile. Lo si può ribaltare tornando al primo amore, cominciando di nuovo a vivere, con la rinnovata freschezza degli occhi sorpresi di un bambino e con la leggerezza di un cuore che accoglie ogni giorno e ogni anno nuovo nella sua unicità. È questo il senso dell’anno liturgico che si chiude per riaprirsi con la contemplazione del farsi piccolo e molto prossimo dell’Amato.