In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

1Cor 12,12-14.27-31   Sal 99   Lc 7,11-17


Al leggere il vangelo della vedova di Nain mi viene una stretta al cuore, una nostalgia di un Gesù che passa per le nostre strade, si lascia prendere da grande compassione e pone fine al dolore con l’esplosione della vita. E mentre sono in preda allo sconforto e a una specie di carenza di fede, sento dentro di me l’eco silente di una voce che varie volte ha detto al ragazzo morto in me: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Sì, quella voce, che le mie orecchie non hanno mai sentito, l’ha sentita il mio cuore, tutto il mio essere. Di questo Gesù che ha echeggiato nella mia esistenza io sono testimone e portatore. Più la mia persona diventa trasparente, più la speranza della sua risurrezione mostra la sua luce nella lanterna del mio essere di discepolo.