In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Ger 1,4-5.17-19   Sal 70   1Cor 12,31-13,13   Lc 4,21-30
«A tutto si abitua quel vigliacco che è l'uomo». Non so se pensava anche all'infinito Dostoevskij  quando scriveva quest'affemazione. È una cosa paurosa: non accorgersi più della Bellezza, non essere più commossi per lo splendore del Vero, non sentire più l' incisività del Bene. Vieni Signore a scuotere il mio cuore dal vecchiume dell'abitudine, vieni e ridonami l'anelito della giovinezza e lo stupore dell'infanzia affinché tu, concittadino del mio cuore, sia sempre ascoltato e accolto come unico re della mia vita.