In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Ml 3,1-4.23-24   Sal 24   Lc 1,57-66


Il suo nome sarà Yohanan: «Il Signore è tenerezza». Questa coppia di anziani ha sperimentato la tenerezza di Dio. «Il Signore aveva manifestato in [loro] la sua grande misericordia». Ed è proprio l’esperienza della tenerezza di Dio che è il preludio dell’incontro reale e personale con Yeshu’, con «Il Signore salva». La salvezza non è un’elemosina umiliante che Dio lancia dall’alto, è la con-discendenza stessa di Dio verso l’uomo. Forse l’immagine più tenera e più fedele per narrare l’attributo di Hanan, è l’espressione del profeta Osea che parla della tenerezza del Signore come quella di un padre che solleva un bimbo alla sua guancia e si china su di lui per dargli da mangiare (cf. Os 11,4). Questo è l’unico Dio che merita che si apra la bocca per parlare di lui. È il riconoscimento di questo Dio che scioglie il cuore e quindi la lingua del Zaccaria muto in ognuno di noi.