In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

1Mac 2,15-29   Sal 49   Lc 19,41-44


Da piccolo mi dicevano che i nostri peccatucci erano come delle spine che si aggiungevano alla corona di Gesù. Lo studio della teologia – una certa teologia – ha buttato questa pietà fuori dalla finestra in nome dell’impassibilità divina. Se il Dio biblico non è succube delle passioni, nondimeno non è impassibile. In tutta la Scrittura, Dio si rivela empatico e com-passionevole e Gesù è la manifestazione perfetta di questo Dio. Sì, Dio nella sua eternità non versa lacrime e non soffre come soffriamo noi nella carne, ma ha colto nel segno Origene quando diceva che «il Padre stesso soffre una passione d’amore». Sono parole sul filo del rasoio, ma sono più vere di tanti sproloqui sul Dio impassibile, sconosciuto alla Bibbia. Chi ama non può essere indifferente, non può non com-patire. Le lacrime di Gesù ci mettono dinanzi a questo ineffabile mistero. E ricordiamoci: se possiamo provocare le «lacrime di Gesù», questo significa che possiamo anche «consolare Dio».