In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro,
Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue
vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe
renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù:
«Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per
Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano
spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua
ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato:
ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno,
se non Gesù solo, con loro.
Mentre
scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano
visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi
tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai
morti.
Dn
7,9-10.13-14 Sal 96 2Pt 1,16-19
Mc 9,2-10
Ogni innamorato di
Dio ha la sua esperienza di trasfigurazione a cui fa riferimento. È quel
momento del «primo amore» in cui il cuore è stato rapito e dove ogni parola è
diventata superflua perché si è fatta esperienza dell’Ineffabile… si è sentito
il riverbero della Parola. Ma credo di non parlare solo per me quando affermo
che questo momento, pregno di Eternità, è pur sempre un momento, un’ancora, a
cui torniamo tante volte con nostalgia. La festa della Trasfigurazione del
Signore è un memoriale di questo anticipo, di questo istante di Eternità di cui
siamo co-protagonisti e del quale ora siamo comandati di testimoniare il
riverbero nel silenzio e nella normalità di una discesa dal Tabor verso la
normalità, alla sequela di un Cristo che rimane trasfigurato anche nella
sfigurazione della croce e della morte. È lui di cui ci dice ancora il Padre: «Questi
è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».