In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola,
dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo
prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una
volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero,
tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è
simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina,
finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e
non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato
detto per mezzo del profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin
dalla fondazione del mondo».
Es 32,15-24.30-34 Sal 105
Mt 13,31-35
C’è un denominatore comune tra le
due parabole narrate da Gesù: l’indeducibilità del risultato dalle premesse.
C’è un eccedenza nell’opera di Dio che ci risulta incredibile se non ne
facciamo l’esperienza. Immaginiamo una persona che non ha mai avuto modo di
sapere che un albero viene da un seme. Farebbe fatica a credere il passaggio da
una cosa così piccola e insignificante a una pianta robusta e rigogliosa. È
così con le promesse di Dio sulla nostra vita. Promesse che dobbiamo cogliere
per conto nostro e non delegarne la scoperta ad altri. Ma una volta che capiamo
dove il Signore ci invita a seminare tutta la nostra esistenza, la follia non è
investirsi senza esitazione, ma rimanere al margine, adagiati nella mediocre tranquillità
dell’infecondità.