In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata
nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la
tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e
buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e
separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove
sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».
Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei
cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e
cose antiche».
Terminate queste parabole,
Gesù partì di là.
Es 40,16-21.34-38 Sal 83
Mt 13,47-53
Come leggere questo vangelo senza
la coscienza della propria indegnità, la coscienza che ho bisogno di essere
graziato, di essere salva-guardato. Sbagliamo se leggiamo questo vangelo
dell’ultimo giorno come parola per domani. Sbagliamo se lo leggiamo come
ammonizione per gli altri. Questo vangelo parla oggi e parla a me. L’unica cosa
che mi distingue dai pesci della parabola è che la mia bontà e cattiveria non
sono frutto della sorte, ma sono mia decisione, frutto della mia libertà. D’altronde,
tutti i vangeli del giudizio sono un inno alla nostra libertà, quella libertà
per la quale Cristo ci ha liberati. Stiamo saldi e non lasciamoci imporre di
nuovo il giogo della schiavitù (cf. Gal 5,1).