In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete anche inteso che fu
detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i
tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è
il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per
Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua
testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia
invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno».
2Cor 5,14-21 Sal 102
Mt 5,33-37
Il giuramento è un fenomeno
curioso. Giuriamo per cose sulle quali in realtà non abbiamo potere. Sottilmente,
il giuramento di questo tipo nasconde una credenza superstiziosa. Gesù va oltre
la superstizione, ma va oltre anche la svalutazione della parola. L’uomo – zoon
logikon – è al contempo «animale razionale» e «animale della parola». Detto
altrimenti, la peculiarità originaria dell’uomo è la parola e, conseguentemente,
l’essere di parola. Tener fede alla propria parola è somigliare a Dio la cui
Parola non è un flatus vocis, ma il Figlio amato prima del tempo ed in
eterno. Cristo ci chiama a sostanziare la nostra parola… non è esagerato dire
che, anche qui, ci invita a somigliare alla Trinità.