In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora
parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non
hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da
Dio».
Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora,
anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete
solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo
avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».
At 19,1-8 Sal
67 Gv 16,29-33
Non è un episodio che accade una volta sola nei vangeli.
Ogni volta che una persona si pone dinanzi a Gesù con una fede che sembra una
certezza acquisita, Cristo prevede una imminente défaillance. Perché questo?
Per esclusione, possiamo dire che di certo Gesù non intende umiliare chiunque
dichiara la propria fedeltà. La fedeltà, in fondo, è un nome dell’amore. Se osserviamo
bene: dietro a questa certezza (i discepoli nel vangelo di oggi, la saccenteria
di Nicodemo, la spavalderia di Pietro nella predizione del tradimento) c’è una
concentrazione eccessiva su se stessi, sulle proprie conquiste di sapere e di
virtù. Ci si crede già approdati, dimenticandosi che chi crede di stare in
piedi, deve stare attento per non cadere (cf. 1Cor 10,12). Ora, la fede è
essenzialmente un riversarsi nell’Amato sia come sapere sia come fiducia. Paolo
è un grande maestro a questo riguardo: «Io ritenni infatti di non sapere altro
in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Cor 2,2); «Tutto
posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13). Credere è protendersi, è
dimenticarsi continuamente, è considerare tutto come un nulla per avere il Tutto
dell’Amato, per essere tutto dell’Amato. Donami Signore in ogni istante di
dimenticare ciò che mi sta alle spalle e di protendermi verso ciò che mi sta di
fronte, verso Colui che mi sta di fronte, Gesù Cristo che mi ha conquistato.