In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

At 18,9-18   Sal 46   Gv 16,20-23

Quale immagine è più evocativa delle doglie per rendere la realtà della nostra maturazione spirituale? Il dolore è dolore, non ha senso in sé, ma diventa significativo o, meglio, viene inondato da una luce di significato, quando lo si orienta verso la nuova vita che germoglia. Una vita che, come quella del nascituro, grida l’affermazione della sua presenza e realtà. L’uomo è un progetto incompiuto che si trova nel grembo stretto della storia aspirando alla Vita. Lasciarsi schiacciare dalle contrazioni delle situazioni è collaborare al proprio aborto. È soltanto dando un orientamento alle doglie del nascere che ci incamminiamo verso la Vita e maturiamo verso il nostro Compimento. Per dirla con Pablo Neruda: «La nascita non è mai sicura come la morte. E questa la ragione per cui nascere non basta. È per rinascere che siamo nati». Per rinascere alla visione del tuo Volto Signore.