[Dopo essere stato acclamato dalla folla, Gesù] entrò a
Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai
l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe
fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si
avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse
vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi.
Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E
i suoi discepoli l’udirono.
Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a
scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i
tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva
che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non
sta forse scritto:
“La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le nazioni”?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano
il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla
era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera, uscirono fuori dalla
città.
La mattina seguente, passando,
videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli
disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato».
Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a
questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma
credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto
quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi
accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno,
perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre
colpe».
Sir 44,1.9-13 Sal 149
Mc 11,11-25
Il vangelo di oggi contrasta con
un diffuso cristianesimo da pasticcieria. L’evangelista ci mette dinanzi a due
situazioni che rivelano un Gesù determinato, un Gesù che manifesta un volto
coerente con l’essenza dell’amore: il volto della giustizia e della fermezza.
L’amore molle, fatto di pacche sulla spalla, non e-duca, non tira fuori
l’essenza migliore. Non merita neppure questo nome. L’amore sostanziale, senza
essere pretenzioso, è “esigente”: vuole che l’altro sia, si realizzi, che esca
dalle ombre e che inveri la propria realtà. Un albero da frutto decorato
soltanto con le proprie foglie, tradisce la propria essenza. Similmente un
tempio – ovvero una vita umana fatta per essere dimora di Dio – si snatura se
abortisce invece di generare il Logos nella storia. Ma se ci sentiamo
schiacciati dalla nostra mancanza di frutto, il vangelo ci ricorda che la
preghiera può muovere le montagne, può togliere gli impedimenti di fecondità.
Preghiamo affinché possiamo «portare tanto frutto e il nostro frutto rimanga».