In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
At 9,1-20   Sal 116   Gv 6,52-59

Come può darci la sua carne da mangiare? Come può donarsi senza svuotarsi? Le domande dei giudei non sono lontane dalle domande che attraversano chiunque vuole seguire Gesù da vicino. Come posso vivere l’amore senza rovinarmi, senza diventare lo zimbello di tutti? Ancora oggi la logica del Nazareno ci sembra follia. È la logica eucaristica, la quale – per quanto possiamo essere assidui a riceverla e a ricordarla – ci supera di continuo, rimane dinanzi ai nostri occhi come un traguardo mai totalmente raggiunto perché sempre da incarnare. Ci consola però sapere dalla sua bocca che ricevendo il suo corpo noi vivremo di Lui. Che la comunione eucaristica diventi in noi germe di cristificazione e ci contagi con lo scandalo del Figlio di Maria, colui che è capace di dare la propria carne, ovvero la propria vita, la propria presenza come sacramento di incontro e di amicizia.