In
quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi
dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi
dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu
chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese;
ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne.
C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di
loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si
riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo
condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per
gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
2Re 5,1-15
Sal 41 e 42 Lc 4,24-30
La scontatezza svuota l’attesa e distoglie l’attenzione
dall’epifania continua di Dio nella nostra vita. Per questo era difficile ai nazareni
cogliere l’unicità di Gesù e accoglierlo. Ma Gesù rovescia le certezze di chi
crede che Dio gli appartiene per eredità. Dio non si possiede per la semplice
generazione, ma si accoglie attraverso la rigenerazione, lo sguardo rinnovato e
fresco di chi si mette in ascolto e si lascia purificare dalla lebbra dell’insensibilità
spirituale. Sta qui il segreto: nell’attenzione spirituale a Gesù che attraversa
la nostra vita, divenuta suo “paese” da quando ho sposato la nostra natura
umana.